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Un po’ di numeri sul femminicidio in Italia

Il femminicidio è un argomento molto controverso che attraversa le nostre cronache. Che cos’è e come si può contrastare?

In Italia sentiamo parlare sempre di più della questione del femminicidio, ma senza numeri e senza contesto. Ascoltiamo storie di donne uccise in modo brutale, ma a livello puramente di dati non sappiamo nulla. Rimane in oltre una domanda fondamentale: è possibile contrastare questo fenomeno?

Cos’è il femminicidio

Se facciamo una semplice ricerca su Google, la definizione che ci viene fornita è: “Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.” In altre parole, uccidere una donna in quanto donna, esercitare violenza su di lei per ricordarle qual è il suo posto nella società. Un ruolo subordinato, un ruolo secondario. Fin qui la situazione è già abbastanza sconvolgente, perché si pensa che esista una gerarchia tra i sessi e debba essere perpetrata ancora oggi nel 2019. Per giunta in un paese che, almeno sulla carta, non prevede impedimenti del genere.

 

Un po’ di numeri

L’Istat ha sul sito dei dati molto utili. Perché uno dei problemi che riguarda il femminicidio è avere dei numeri chiari all’interno di un contesto. Per quanto riguardo l’anno 2017, le donne vittime di omicidio volontario in Italia sono state 123, lo 0,40 per 100.000 donne. Malgrado le cautele che le comparazioni internazionali richiedono, si può affermare che tale incidenza sia contenuta in rapporto al contesto europeo: tra i 23 Paesi dell’Unione europea per i quali si hanno a disposizione dati recenti (Grafico 1), si osservano valori inferiori solo nel caso di Grecia, Polonia, Paesi Bassi e Slovenia (0,47, 0,36, 0,35, 0,19 omicidi per 100.000 donne, rispettivamente).

 

 

 

Alla fine del 2017, rimane un problema fondamentale. Quanti di questi omicidi di donne sono effettivamente femminicidi? Perché alla base c’è un problema: non esiste una definizione univoca di femminicidio.

 

I dati del ministero dell’Interno

Secondi dati forniti dallo SDI (Sistema di Indagine del ministero dell’Interno), nel 2016 ci sono state 4046 reati di violenza sessuale. Nel 2014 erano 4257 nel 2014 e nel 2015 4000. Mentre le persone denunciate per violenza sessuale nel 2016 sono state 7633. 9723 per percosse, 11425 per stalking e 13813 sono state le denunce/segnalazioni per maltrattamenti in famiglia. Questi non sono neanche i dati che fanno più riflettere. Una vittima italiana su tre ha dichiarato che il personale sanitario a cui si è rivolta non l’ha aiutata in modo adeguato. Ha minimizzato la violenza e ha fatto finta di nulla. Inoltre, al 6,4% delle vittime di violenza straniere è stato consigliato di sporgere denuncia. Per quanto riguarda invece le italiane, solo in un caso su tre è stata consigliata loro questa alternativa.

Le condanne

Secondo i dati del Ministero della Giustizia dati del Ministero della Giustizia, i detenuti maschi che sono in carcere per avere commesso violenza sessuale sono 2977 (di cui 1828 italiani), per avere commesso stalking 691 (di cui 540 italiani) e 186 (di cui 130 italiani) per percosse (Fonte: il Sole 24 ore). Nel 2015, si parla di 15.733 persone adulte iscritte nei registri delle procure. Tuttavia, l’azione penale ha avuto luogo per il 51% dei casi. Buono l’incremento delle condanne tra il 2009 al 2015: 35 sentenze nel 2009, 1.601 nel 2016, di cui 1.309 con condannato italiano e 292 straniero. (Fonte: il Sole 24 ore). Se si considerano invece i maltrattamenti, sempre nel 2015, 21.305sono le persone accusate di almeno un reato, solo 42,5% quelle condannate. Inoltre, le condanne sono cresciute da 1.320 del 2000 alle 2.923 del 2016. Sono invece 6.196 le persone iscritte nel registro degli indagati per violenza sessuale. Per il 64,1% degli iscritti è stata intrapresa un’azione penale per il reato di violenza sessuale. Per quanto riguarda invece la violenza di gruppo, si parla di un 41,6%. (Fonte: il Sole 24 ore).

 

Il Censis

Considerando invece i dati del Censis dei primi otto mesi del 2018, alle 2.977 violenze sessuali denunciate si aggiungono 10.204 denunce per maltrattamenti in famiglia, 8.718 denunce per percosse e 8.414 denunce per stalking. Si può concludere che: “l’unico dato positivo è che nell’ultimo anno tutti questi reati tendono a diminuire, mentre aumentano le donne che si rivolgono alla rete dei centri antiviolenza: 49.152 nel 2017, con 29.227 donne prese in carico dagli stessi centri.”

La narrativa del femminicidio e la colpevolizzazione della vittima

In inglese si chiama victim-blaming. È la colpevolizzazione della vittima in cui si scade quando si parla di violenza sessuale e femminicidio. La colpa non è del compagno o del marito violento che ha commesso l’omicidio, ma della donna che non si lasciava “amare”. Lo abbiamo visto ultimamente con i titoli aberranti sull’omicidio di Elisa Pomarelli. Il giornale ha titolato “Il gigante buono e quell’more non corrisposto”. Questa narrativa è estremamente pericolosa.

 

In questo modo si perdona il colpevole per ciò che ha commesso, in questo caso un omicidio, e si addossa la colpa a chi non ne ha. Elisa, come tante altre, ora è senza vita a causa di un assassino, che però viene chiamato dalle cronache gigante buono, come se si fosse trattato di un incidente. Come se la risposta corretta ad un rifiuto fosse la violenza o l’omicidio. In questo modo, viene avallato un comportamento violento che insegna a non rispettare la volontà di una donna e ad imporsi ad ogni costo. Come se una ragazza non avesse il diritto di dire “no”. Ed è qui, che forse, è necessario ripensare il modello educativo proposto sia ai maschi che alle femmine. È importante insegnare che dire “no” e dire “sì” ha un valore. Soprattutto, le donne non sono oggetti di proprietà da assoggettare alla volontà maschile. Non è così che funziona. C’è chi sui commenti su Facebook non capisce la necessità di un’etichetta specifica per l’omicidio di donne. Perché oltre al femminicidio non esiste anche il maschicidio? Finché non si uscirà da questa mentalità malata e retrograda, sarà necessario sottolineare che alcune persone vengono uccise in quanto donne, perché hanno osato far valere la propria volontà. Certo, i numeri in Italia stanno migliorando, ma ciò non significa che la battaglia si finita. Per risolvere questo problema, come molti altri che affliggono il nostro paese, è necessario ripartire da un aspetto molto sottovalutato: l’educazione. Solo allora, sarà possibile far cadere in disuso il termine femminicidio.

 

A cura di B.P.

 

 

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