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Stephen curry: bersagliere dai 3 punti, rivoluziona il modo di giocare in NBA

Papaverone Roberto Juno

Stephen Curry 31 anni e giocatore dei Golden State, è il protagonista della nuova onda su cui sta viaggiando l’NBA. MVP in carica, e miglior giocatore della lega anche in questa stagione. La sua capacità di mettere dentro tiri da tre, rende il gioco meno dinamico e meno fisico, più tiri da tre punti, meno stoppate, maggiore velocità. È forse questo il basket americano a cui dobbiamo prepararci. E se così dovesse essere, non c’è poi molto da festeggiare. Steph Curry è sicuramente un campione, e quando appenderà le scarpette al chiodo verrà ricordato come un dio di questo sport. Ma la sua eredità rischia di essere al tempo stesso più pesante e meno eccitante di quelle di Chamberlain, Jordan o Magic. Perché il gigante ha cambiato, forse per sempre, le regole del gioco. Rendendolo meno imprevedibile.

 I SUOI NUMERI

Quest’anno, in 60 partite, ha mandato a bersaglio 304 tiri da tre punti su 662 tentati. Vuol dire che sta infilando nel canestro una media di 5,1 triple a serata su 11 tentativi. Mostruoso. Al secondo posto nella speciale classifica di più canestri da tre in una stagione chi c’è? Steph Curry, con 286 (stagione scorsa) ma in 80 partite. E al terzo posto? Steph Curry, con 272 (stagione 2012-2013) in 78 incontri. Curry, è, inoltre, anche al sesto posto nella classifica con 261 “bombe”.

STATISTICHE DELL’ALTRO MONDO

Un dato su tutti fa capire come sia cambiata la situazione e come i Warriors abbiano stravolto l’idea stessa di basket. All’inizio del nuovo millennio, nella stagione 2001, la squadra che tirava più da tre punti era quella di Boston, i mitologici Celtics, con 20 tentativi a partita su 79 tiri complessivi. Il 25,1%. Oggi Boston sarebbe venticinquesima per tiri da tre punti, mentre Golden State va con il 35,3% (31 tentativi su 87,5) da dietro l’arco. Una rivoluzione copernicana, resa ancora più enorme dalla percentuale di tiri da tre punti realizzati: il 41,4%, il 6% in più degli Oklahoma City Thunder secondi in classifica. Incredibile, soprattutto, il dato sulle triplette realizzate: i Warriors ne infilano quasi 13 a partita, due in più dei secondi classificati, gli Houston Rockets. Significa che la squadra di Curry inizia le partite con un vantaggio di almeno 6 punti. Poca roba per chi ne segna 115 a sera (5 in più di qualunque altro avversario), ma pur sempre un vantaggio, almeno psicologico. Un altro dato interessante è quello sui tiri liberi tentati a ogni partita: 22,6, 8 in meno di altri avversari. Il che significa che difficilmente si cerca il contatto ma, piuttosto, si vuole scovare il compagno libero che possa tirare, preferibilmente da tre punti. Una macchina infernale.

GLI AVVERSARI DELL’ARMATA DI CURRY

Le squadre che affrontano i ragazzi di Golden State evitano di andare a rimbalzo offensivo per paura di venire trafitti da rapidi contropiedi che potrebbero portare a sanguinosi tiri da tre punti. Preferiscono restare schierati e affrontare con tutto l’organico la marea gialla guidata da Curry. E questo è un vero peccato. Perché la fisicità dei giocatori di basket contribuisce al loro status di semi-divinità.

 

 

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