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Sandulli, il colonnello che portò allo scoperto la ‘ndrangheta in Liguria

Alla vigilia della pensione del colonnello Sandro Sandulli, vale la pena ripercorrere la sua carriera.

Sandro Sandulli è colonello dell’Arma dei carabinieri e da 20 anni ormai è molto attivo nella lotta alla criminalità organizzata. Alla vigilia della sua pensione il 6 marzo, ripercorriamo insieme il suo percorso nell’arma e le operazioni fondamentali che ha portato a termine in 40 anni di onorata carriera.

 

Un grande impegno civile

L’impegno di Sandulli è stato principalmente nel campo dell’antimafia. Prima di approdare alla Dia (direzione investigativa antimafia), egli ha guidato i carabinieri del Ros (Raggruppamento operativo speciale) di Genova e Milano. Anche se non siamo abituati a parlarne, è importante sapere che al nord esiste una consistente presenza malavitosa che non ha nulla di diverso da quella che di solito si associa al sud d’Italia. Si tratta di una realtà attiva e consolidata. Peccato che, per le istituzioni, era come se non esistesse. E invece era lì, pronta a gestire il traffico di droga e illeciti di varia natura. Ci sono voluti anni di duro lavoro per far emergere questa realtà. Sandulli durante i suoi anni al Ros ha lavorato duramente per combattere questo mondo sommerso e far conoscere l’esistenza della ‘ndrangheta anche al nord.

 

L’incarico alla Dia

Nel gennaio del 2013, dopo il suo eccellente lavoro al Ros, Sandulli approda alla Dia. Sandulli sostituisce il colonnello Luigi Marra, altra personalità fondamentale della lotta alla malavita. Marra ha infatti sequestrato la catena di pizzeria Regina Margherita a causa delle sospette infiltrazioni della Camorra. Ma cosa c’è di diverso tra l’incarico al Ros e quello alla Dia? Per capire come sia cambiato l’incarico di Sandulli, è importante capire come lavorino i due diversi organi di sicurezza. Il Ros è l’unico organo investigativo dell’Arma che si occupa sia di terrorismo che di criminalità organizzata. Tra i suoi compiti c’è quello di produrre delle prove che reggano all’interno di un tribunale. La Dia invece è una forza mista. Al suo interno, infatti, collaborano, poliziotti, carabinieri e finanzieri. Ha poteri speciali, parzialmente svincolati dalla magistratura.

 

La ‘ndrangheta è una realtà ben radicata

Adesso Sandulli ha una posizione ancora più importante, e può portare avanti la sua lotta contro la malavita organizzata. Proprio dal suo nuovo incarico, nel 2017, rilascia una dichiarazione importante. Il giorno in cui il Tribunale di La Spezia ha applicato la sorveglianza speciale e l’obbligo di soggiorno per due anni nei confronti degli imprenditori Roberto Piras e Riccardo Trusendi. I due sono infatti sospettati di essere membri della ‘ndrangheta. Così, dopo il loro arresto, Sandulli ha dichiarato che: “Oramai la presenza strutturata in Liguria della ‘ndrangheta non è più una chiacchiera da bar ma un’evidenza nei confronti della quale, anche tra addetti ai lavori, c’è ancora scarsa sensibilità”.

Un altro aspetto fondamentale è che, i due imprenditori indagati non vengono dalla Calabria, come ci si aspetterebbe da dei membri della ‘ndrangheta. Tuttavia, secondo Sandulli, questo sarebbe un chiaro sintomo di quanto sia riuscita ad arrivare in profondità la malavita in Liguria. “È una ‘ndrangheta che non si mostra, però, proprio quando il fenomeno è silenzioso è anche più pericoloso. Episodi come quello di Spezia dimostrano che imprenditori spregiudicati hanno capito come migliorare la propria posizione danneggiando però in questo modo l’imprenditoria sana”. Sandulli, dopo anni di lavoro meticoloso è in grado di disegnare una mappa della criminalità organizzata. Il punto di partenza è Ventimiglia, dove una sentenza ha sancito l’esistenza di una ‘ndrina locale. In provincia di Savona c’era il piccolo impero di Carmelo Gullace. A Genova era stato condannato il verduriere Domenico Gangemi, boss del narcotraffico del nord Italia. Infine c’è La Spezia, dove nono solo sono stati arrestati Trusendi e Piras, ma anche l’imprenditore Domenico Romeo. Dopo questo quadro, com’è possibile dire che la malavita organizzata è un problema che non riguarda anche il nord? No, non si può. Sembra essere ovunque in modo capillare. Il mondo dell’imprenditoria, la politica, le catene di pizzerie. Ovunque.

 

I numeri della malavita l’anno successivo

Nonostante il grande lavoro portato avanti da Santulli e la sua squadra, la situazione in Liguria è molto complessa. In base ad un rapporto, rilasciato dopo il primo semestre del 2018 dalla Direzione investigativa antimafia, si viene a sapere che in Liguria si sono verificati ben 61 casi di estorsione. In questo modo si vede ancora come la malavita non lasci il suo terreno di un centimetro. Ci sono 50 casi di riciclaggio, 22 danneggiamenti seguiti da incendi, 14 trasferimenti di valori e 4 episodi di usura. 151 casi in totale. 151 episodi per dire che la malavita colpisce anche il nord. Sandulli in questo contesto ha sottolineato come ci sia una maggiore “consapevolezza della società civile, della stampa e delle istituzioni. Vi è però ancora una sottovalutazione e un negazionismo da parte di alcuni, che rende il terreno fertile per la criminalità”. Come si fa però a contrastare un’organizzazione così forte in modo efficace? Secondo Sandulli serve una normativa europea. In questo modo, ci sarebbe le stesse linee di contrasto per i criminali e sarebbe più comodo per i diversi paesi europei costruire un fronte comune.

 

“Senza leggi europee la ‘ndrangheta ci batterà sempre”

In un’intervista rilasciata a Marco Grasso, il colonnello Sandulli ha ribadito come sia importante creare una legge comune a tutti i paesi europei. “Il vero tema da affrontare è l’Europa. Lottiamo contro una multinazionale criminale, con strumenti limitati. Se non ci adeguiamo, nel lungo periodo usciremo sconfitti”. Dal punto di vista normativo, spiega Sandulli, i paesi europei non parlano la stessa lingua. Nonostante ci siano stati diversi summit, fare un punto comune è difficile. Secondo il colonnello. “Ciò che manca prima di tutto un quadro comune di strumenti investigativi e giudiziari. Anche pochi, ma uguali per tutti. I mafiosi su cui indaghiamo hanno filiali in Sudamerica, strutture in Canada, conti a Londra, nella stessa settimana fanno affari in Olanda, Macedonia o Albania, dispongono di liquidità e conti off-shore. Le forze antimafia, invece, sono costretta a muoversi, inevitabilmente, entro i propri limiti legislativi nazionali, che spesso non bastano”. Con pochi strumenti comuni, si potrebbe fare molto e finalmente combattere con un fronte comune la malavita organizzata. Non si tratta infatti di un problema circoscritto all’Italia. Ormai ha raggiunto un raggio più ampio. Per questo motivo, collaborare con gli altri paesi è fondamentale. Speriamo dunque che le parole di Sandulli non cadano nel vuoto. Del resto, dopo 40 anni di carriera, ha avuto la possibilità di vedere il modo capillare con cui la ‘ndrangheta si è infiltrata al nord. Perciò, non si può rimanere indifferenti.

 

A cura di B.P.

&  Direttore Editoriale

 

 

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