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Migrante suicida in Cpr: amico, sognava un’altra vita

 

“Sognava un’altra vita in Italia, con un lavoro, perché nel proprio Paese non avrebbe potuto rientrare. Diceva che sarebbe stato ucciso dalle stesse persone che lo avevano spinto a scappare.

E’ probabile che si sia scontrato con la realtà e che questo possa avergli provocato un crollo psicologico”. A parlare è Marco B., un amico italiano di Moussa Balde, 23 anni, il ragazzo guineano picchiato da tre persone il 9 maggio scorso, fuori dal supermercato Carrefour di Ventimiglia che ieri si è impiccato nel Cpr di via Brunelleschi, a Torino. “Era arrivato con un barcone nel 2017 – racconta l’amico, che chiede di mantenere l’anonimato -. Ha subito presentato richiesta di asilo politico a Imperia ed era in attesa della convocazione di una commissione territoriale per il riconoscimento dei suoi diritti”. Moussa era stato subito accolto in un Centro di accoglienza straordinaria (Cas), ma successivamente era stato trasferito a un’altra cooperativa. “A un certo punto ha lasciato l’accoglienza – prosegue l’amico -. Crediamo che sia riuscito a entrare in Francia, forse perché demoralizzato dalle lunghe attese per ottenere l’asilo”. Dopo alcuni mesi Moussa è tornato torna in Italia, forse di propria volontà o forse perché respinto. “E’ tornato nel secondo Cas in cui era già stato all’inizio, ma alla fine ha lasciato di nuovo l’accoglienza per vivere la giornata”. Moussa, ricorda l’amico “era un ragazzo molto intelligente, in sei mesi aveva imparato a parlare italiano e aveva preso il diploma di terza media al centro di formazione territoriale per adulti, di Imperia. Era, però, anche un ragazzo tormentato e molto impaziente, che faticava ad aspettare”. Tornato dalla Francia Moussa era scoraggiato, i suoi sogni non riuscivano a concretizzarsi e, ritengono i suoi conoscenti, l’espulsione potrebbe essere stato il colpo di grazia. Sapere di dover tornare in Guinea, dove avrebbe rischiato la propria vita, potrebbe averlo indotto a uccidersi.

La procura di Torino ha avviato degli accertamenti sul caso di Moussa Balde. “A quanto mi risulta su Moussa non è stato attivato nessun sostegno di natura psicologica”. Lo afferma Gian Luca Vitale, l’avvocato che seguiva il caso del giovane africano rinchiuso nel Cpr di Torino perché nel corso delle indagini scaturite dall’aggressione a Ventimiglia di cui rimase vittima, era risultato irregolare.

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