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ENI chiede maxi-risarcimento a Greenpeace Italia e a ReCommon che replicano: “Minacciare di farci causa è solo un ricatto per metterci a tacere”

Greenpeace Italia e ReCommon prendono atto della comunicazione di ENI, che nega di aver intentato alcuna causa per diffamazione alle due associazioni, ma ribadiscono con forza che la mediazione obbligatoria richiesta da ENI costituisce premessa necessaria per l’instaurazione di una causa civile di risarcimento danni per diffamazione a mezzo stampa.

Se così non fosse stato, ENI avrebbe potuto intavolare una mediazione semplice. Quando lo scorso maggio Greenpeace Italia e ReCommon hanno intentato una “climate litigation” nei confronti di ENI, Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti, le due associazioni non erano tenute a esperire la mediazione obbligatoria, perché la loro azione legale non la prevede. Nell’azione di ENI, invece, l’oggetto della causa, cioè la diffamazione a mezzo stampa, la rende obbligatoria.

È dunque evidente l’intenzione non conciliativa e intimidatoria di ENI, che ha richiesto un risarcimento di almeno 50 mila euro a ciascuna organizzazione, nonostante il colosso petrolifero, nella sua risposta al comunicato stampa di Greenpeace Italia e ReCommon, abbia tentato  di negare, o quanto meno contraddire, quanto si legge negli atti.

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