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Causa civile contro ENI, ReCommon e Greenpeace Italia: «L’azienda usa toni intimidatori per distrarre l’attenzione dalle sue responsabilità nella crisi climatica»

«Minacciando di ricorrere a vie legali contro realtà della società civile come ReCommon, ENI prova a spostare l’attenzione dalle sue responsabilità per la crisi climatica in corso, con argomenti che non hanno nulla a che fare con la causa intentata nei suoi confronti. Una strategia di distrazione ben rodata, quella del colosso italiano del gas e del petrolio, che però stavolta non funzionerà. Suggeriamo a ENI di prepararsi a giustificare in tribunale la propria inazione per salvaguardare il clima del Pianeta, invece di perdere altro tempo con dichiarazioni intimidatorie». Così Greenpeace Italia e ReCommon commentano le dichiarazioni rilasciate da un portavoce ENI ai media in seguito all’annuncio della causa civile aperta lo scorso 9 maggio dalle due organizzazioni, insieme a dodici tra cittadine e cittadini italiani.

Pochi giorni fa, infatti, le due realtà ambientaliste hanno notificato a ENI S.p.A. un atto di citazione per l’apertura di una causa civile nei confronti della società, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (queste ultime due realtà in qualità di azionisti che esercitano un’influenza dominante sulla società) per i danni subiti e futuri, in sede patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui ENI ha significativamente e consapevolmente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni.

Le due organizzazioni e le cittadine e i cittadini coinvolti nella causa – provenienti da aree già colpite dagli impatti dei cambiamenti climatici, come l’erosione costiera dovuta all’innalzamento del livello del mare, la siccità, la fusione dei ghiacciai – chiederanno al Tribunale di Roma l’accertamento del danno e della violazione dei loro diritti umani alla vita, alla salute e a una vita familiare indisturbata. Gli attori che hanno intentato la causa chiedono inoltre che ENI sia obbligata a rivedere la propria strategia industriale per ridurre le emissioni derivanti dalle sue attività di almeno il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi Centigradi secondo il dettato dell’Accordo di Parigi sul clima. Viene infine chiesta la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista influente di ENI, ad adottare una politica climatica che guidi la sua partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi. 

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