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“De Profundis”, la Rivoluzione svelata

Da circa novant’anni, la storia racconta la stessa versione sulla grande Rivoluzione Russa dell’ottobre 1917. Una storia scritta in base a ricostruzioni in gran parte parziali e, spesso, caratterizzata da diverse omissioni, in particolare riguardo al periodo delle consultazioni del novembre 1917 per eleggere la Assemblea Costituente, che vede i Bolscevichi bloccati al 25% e la vittoria dei Socialisti con oltre il 40%. Da ricordare anche la grande manifestazione popolare del 5 gennaio 1918 (apertura dei lavori della Costituente), repressa nel sangue dagli stessi Bolscevichi, che subito dopo sciolgono con la forza l’Assemblea, definita “covo di controrivoluzionari”. Non è stata quindi la Russia degli zar ad essere abbattuta dalla Rivoluzione, bensì la Repubblica Democratica proclamata da Aleksandr Fedoroviç Kerenskij (1881-1970) dopo il fallito colpo di Stato del generale Lavr Kornikov (1870-1918) e l’istituzione di un libero Parlamento, la cui prima iniziativa prevedeva di dare la terra ai contadini per l’emancipazione sociale.
A parlare sono i testimoni diretti che vissero quei drammatici giorni. Una nuova versione riportata fedelmente, attraverso la quale è possibile comprendere gli aspetti oscuri della vicenda, senza trascurarne la complessità storica o le riflessioni di quella parte di popolazione rimasta libera, che ha scelto la dissidenza. Le loro voci sono riunite nel volume “Iz Glubiny” (“Dal Prodondo”), riscoperto recentemente anche in Russia dopo il crollo del Comunismo nel 1989.

Testimonianze dirette

Uno dei resoconti più significativi è contenuto nei diari di Andrej Singarev, medico di tendenze liberali che, pur avendo in diverse occasioni dimostrato la propria avversione alla politica zarista, viene prima arrestato in base al decreto governativo che bollava i liberali come “nemici del popolo”, e quindi barbaramente ucciso dalle Guardie Rosse nella notte del 6 gennaio 1918. Nelle memorie scritte in carcere, Singarev analizza l’ideologia bolscevica e identifica cinque punti fermi nel processo di disfacimento e disuguaglianza sociale che hanno portato il Paese alla Prima Guerra Mondiale e quindi alla Rivoluzione: anzitutto la massa popolare immersa nell’ignoranza, nell’analfabetismo e nella povertà; quindi le forze armate, o meglio, i soldati che non volevano più combattere e rimasti emarginati dopo essere stati sradicati dal loro ambiente di provenienza, cioè il mondo rurale. Per questo, ancor più degli operai delle fabbriche, i soldati disillusi erano portati alla violenza. In terzo luogo, i numerosi criminali liberati dalle prigioni, in combutta con i poliziotti corrotti, passati in massa nelle file bolsceviche. A seguire, le spie e le organizzazioni filotedesche, e infine gli ideologi della dittatura del proletariato e della rivoluzione sociale. Di queste, sempre secondo Singarev, gli ideologi sono i più pericolosi perché non si rendono conto che sono solo degli strumenti in mano a chi manovra i fili delle vicende politiche, né possono sapere chi siano realmente questi “manovratori”. Con la moderna terminologia, ciò di cui parla Singarev si potrebbe identificare con l’incapacità di distinguere fra bene e male, tecnicamente definita “moral insanity”.
La più completa e lucida testimonianza fin dal 1918, rimane comunque un´antologia di pensieri di rappresentanti della cultura sovietica, costretti all’esilio dall’ondata di terrore che invade la Russia con la presa di potere del movimento bolscevico.

Petr Struve e i dissidenti

L’iniziativa di raccogliere in un libro le opinioni degli esponenti contrari al regime è stata del maggiore rappresentante del mondo politico liberale del periodo in questione, Petr Struve.
Petr Struve (nella foto) nasce a Perm nel 1870 da Bernard Struve (governatore di Astrakan e successivamente di Perm) e nipote del celebre astronomo Fredrich Georg Wilhelm von Struve. Studia all’Università di San Pietroburgo, e nel 1899 è membro del Dipartimento di Scienze Naturali. In quest’ambiente aderisce al movimento marxista, dove conosce Vladimir Ilich Uljanov, più noto come Lenin (1870-1924), che sarà suo acerrimo nemico, e scrive una serie di articoli definiti “narodniki” (populisti) e di economia, per alcuni giornali pubblicati in Occidente. Nel 1893 è impiegato nella biblioteca del ministero delle Finanze, ma viene licenziato l’anno seguente in seguito ad un arresto per opinioni politiche non allineate. Nello stesso 1894 pubblica il primo libro, “Kriticheskie zametki k voprosu ob ekonomicheskom razvitii Rossii” (“Note critiche sullo sviluppo economico della Russia”) in cui difende a spada tratta l’applicabilità delle teorie marxiste. Nel 1895 scrive la celebre “Lettera aperta a Nicola II” poi viaggia all’estero per specializzarsi in studi economici e partecipa al Congresso Internazionale Socialista di Londra, dove conosce Vera Ivanovna Zasuliç (1849-1919), esponente in esilio del Partito Democratico dei Lavoratori, quindi è in Svizzera l’anno seguente, con Pavel Axelrod (1850-1928), Lev Deich (1855-1941), Georgij Plekhanov (1856-1918), e altri membri dello stesso gruppo. Con loro collabora attivamente alla stesura e alla pubblicazione del giornale “Rabochee Delo” (“Dalla parte del lavoratore”). Tornato in Russia, è uno degli editori del giornale della Lega Marxista “Novoje Slovo” (“Nuovo Mondo”), nel 1989 è l’autore del manifesto ufficiale della formazione, del periodico “Nachalo” (“L’inizio”), e diventa uno dei portavoce più autorevoli della Società della Libera Economia e leader dei Marxisti revisionisti insieme a Mikhail Tugan Baranovskij (1855-1919), in aperto contrasto con Alexandr Potresov (1869-1934) e Lenin, appartenenti all’ala radicale.
Nel 1900 a Monaco di Baviera, collabora con gli esuli sovietici e, come editore di “Sovremennoe Obozrenie” (“Rivista Contemporanea”) riesce a raggiungere lo storico compromesso politico con i radicali che avevano la propria voce nel periodico “Zaria” (“Alba”). Tornato in Russia nel 1901 alla ricerca di finanziamenti per i liberali in esilio, viene arrestato dalla tristemente nota Squadra Kazan della polizia politica. Dopo un breve e drammatico periodo di prigione è condannato all’esilio a Tver, roccaforte dei marxisti radicali. Nel 1902 riesce a fuggire in Germania, a Stoccarda, dove scrive sulle pagine di “Osvobozhdenie” (“Liberazione”). Nel 1903 fonda e dirige il giornale liberale “Soyuz Osvobozhdeniya” (“Unione per la Liberazione”), che diventa organo di stampa ufficiale dell’Unione Liberale.
Quando la polizia tedesca decreta la chiusura dei giornali dissidenti, sotto insistenza della polizia politica sovietica (la“Okrana”), Struve fugge a Parigi e continua a pubblicare il giornale per un altro anno, fino al 1905, quando redige il “Manifesto di Ottobre” sulla Libertà di Stampa in Russia.
Torna in patria in occasione dei moti rivoluzionari del 1905, si unisce al Partito Democratico Costituzionale ed è eletto alla Seconda Duma nel 1907. Quando lo zar Nicola II (1868-1918) abdica, e la Duma viene cancellata, Struve diventa uno dei punti di riferimento di “Vekhi” (“Pietra Miliare”, 1909) una controversa antologia critica delle ideologie radicali, quindi è impiegato al ministero degli Esteri e, nel 1916, si oppone con decisione al movimento leninista.

“Iz Glubiny”, Antologia del libero pensiero

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Struve si dimette dal Comitato Centrale del Partito Democratico Costituzionale e, dopo la Rivoluzione di Febbraio, viene eletto membro d’onore della Accademia Sovietica delle Scienze, fino al 1928 quando Lenin in persona decide la sua espulsione.
In seguito ai moti di Ottobre, Struve si trasferisce nel Sud della Russia e si unisce al Consiglio dell’Armata dei Volontari, quindi torna a Mosca nel ’18 sotto falso nome e cura la stesura della raccolta “Iz Glubiny”, diventata famosa in Occidente come “De Profundis” (“Dal profondo”). Ricercato dalla polizia segreta, Struve fugge in Finlandia dove incontra il generale Nikolaj Yudeniçh (1862-1933) e il leader locale Carl Gustav Mannerheim (1867-1951), quindi passa a Parigi e Londra come portavoce del generale antibolscevico Anton Denikin (1872-1947), per tornare, in incognito, nella Russia meridionale dove è editore del periodico liberale “Movimento Bianco” nel 1919.
Nel 1920, dopo la sconfitta dei “Bianchi” a Novorossisk e la ascesa del generale Pyotr Wrangel (1878-1928), Petr Struve diventa membro del ministero degli Esteri di quest’ultimo. Sconfitto anche Wrangel, si trasferisce in Bulgaria dove rilancia il giornale “Russkaya Mysl”, poi è nuovamente a Parigi, dove rimane fino alla morte, avvenuta nel 1944. Il figlio, Gleb Struve (1898-1985), diventa una delle principali autorità della Chiesa Ortodossa di Russia all’estero e uno dei maggiori critici politici del secolo scorso, insegnante all’Università californiana di Berkeley. Il figlio di Gleb, Nikita, è professore a Parigi ed editore di diversi periodici in lingua sovietica pubblicati in Europa.
“Iz Glubiny” è un’opera di grande valore politico, dove gli autori hanno fondamentale importanza sia per il singolo valore intrinseco del proprio contributo, ma soprattutto perché tali testimonianze sono di fatto inedite. Il libro, infatti, appena pubblicato, viene sequestrato dalle autorità bolsceviche, quindi rimesso in circolazione nel 1921, in pieno regime, poi nuovamente ritirato. E’ diffuso in Francia nel 1926 e nel 1990, con la fine del blocco comunista, pubblicato in Russia.
Petr Struve, principale curatore dell’opera, che aveva conosciuto e frequentato Lenin negli anni dell’università, lo definisce personalizzazione della crudeltà nel senso filosofico più generale; ciò che più si oppone alla sensibilità e alla tolleranza dell’animo umano: “assolutamente privo di ogni senso del compromesso, e caratterizzato soprattutto dall’odio come principale sentimento. Per Lenin, la dottrina marxista era esclusivamente lotta di classe, spietata, assoluta, che deve avere lo scopo di distruggere e annientare qualsiasi nemico, principalmente l’autocrazia zarista ma anche lo strapotere della polizia (che in seguito lui stesso autorizza per i propri scopi), la burocrazia e il libero pensiero”.
Con Struve si comprende perché l’ideologia rivoluzionaria ha avuto un seguito così grande in Occidente: anzitutto a causa della limitata conoscenza che l’Europa aveva delle reali condizioni della Russia dell’epoca, e in particolare dell’ideologia bolscevica giudicata, superficialmente, come realizzazione del socialismo e della supremazia della classe proletaria. Ne è conseguita un´idealizzazione del bolscevismo su basi errate. In secondo luogo, la diffusa convinzione che i Bolscevichi siano stati la causa della caduta dell’istituzione zarista, quando invece hanno determinato il crollo di una libera Repubblica Democratica che aveva già provveduto a liberare la Russia dal dominio dei Romanov.

Lev Sestov

In ogni brano di “Iz Glubiny” è ben presente la consapevolezza che gli eventi descritti erano una minaccia non solo per la Russia, ma per il mondo intero. Oltre a Struve, fra i più significativi è da ricordare Lev Sestov (1866-1938), filosofo esistenzialista di origini ebraiche, il quale afferma che “i rivoluzionari bolscevichi hanno fatto tutto il possibile per ostacolare quello che doveva essere lo scopo fondamentale della Rivoluzione: liberare il popolo russo”. Allo stesso modo la pensano altre personalità come Vassilij Rozanov (1856-1919, scrittore e filosofo), Dmitrij Merezovskij (1865-1941, scrittore, ideatore della Società Filosofico-religiosa di S.Pietroburgo), Sergej Djagilev (1872-1929, intellettuale, direttore artistico e fondatore dei Balletti Russi), anch’essi in esilio.
Sestov è a Friburgo nel 1908-1910, dove pubblica “La grande vigilia” e “Le penultime parole”. Ritorna a Mosca durante la Grande Guerra, nel 1915, quando suo figlio Sergej rimane ucciso in combattimento dai tedeschi. In questo periodo il suo lavoro diventa più attento ai problemi religiosi e teologici. L´avvento dei Bolscevichi al governo rende la vita difficile a Šestov: Nel 1919 viene obbligato a scrivere una difesa della dottrina marxista come introduzione al suo nuovo lavoro “Potestas Clavium”, senza la quale non sarebbe stato pubblicato. Šestov rifiuta e torna a Kiev, dove insegna filosofia greca all´università, ma il totale disaccordo con il regime lo costringe all’esilio in Francia nel 1921, dove collabora con riviste di filosofia e compone “Sulla bilancia di Giobbe”, che gli conferisce fama internazionale e l’assegnazione della cattedra di filosofia alla Sorbona nel 1925.
Nel 1929 incontra il filosofo Martin Heidegger (1889-1976) e comincia uno studio più approfondito che lo porta a identificare numerose somiglianze fra le varie filosofie. Ammalato, continua a lavorare all’opera fondamentale, “Atene e Gerusalemme”, dove spiega perché la ragione debba essere esclusa dalla filosofia.
Punto di partenza di Šestov non è la teoria, ma l´esperienza di vita, la perdita delle certezze, della libertà, del senso. La radice della perdita è ciò che spesso chiamiamo necessità, ma anche ragione, idealismo, fato: un certo modo di pensare che sottomette la vita a idee, astrazioni, generalizzazioni e così facendo la sopprime l´unicità e la vitalità del reale.
Il contributo di Sestov all´antologia “De Profundis” è sintetizzato nel concetto che i Bolscevichi sono definiti “idealisti” in senso negativo perché non hanno fede in nulla se non nella forza bruta, dove l’ideologia del terrore e il terrore dell’ideologia si sostengono a vicenda e sono messi in pratica con la propaganda e la repressione.

Nikolaj Berdjaev

Altra testimonianza è portata da Nikolaj Berdjaev (1874-1948), filosofo dell’esistenzialismo cristiano nato da famiglia della ricca aristocrazia militare: “La Rivoluzione bolscevica – racconta Berdjaev – rivela tutto quello che di oscuro e malefico caratterizza l’autocrazia zarista sotto la maschera rivoluzionaria, grazie ad una massa incontrollata di elementi posseduti dalla brama di organizzare il mondo intero non solo senza Dio, ma soprattutto contro Dio. Dopo questa esperienza, perfino i nemici di Dostoevskij riconoscono che “Demoni” è in realtà un libro profetico sulla possessione demoniaca”.
Contro le aspirazioni familiari, si iscrive all’università di Kiev nel 1894, dove conosce Lev Sestov e Sergeij Djagilev (1872-9129). Divenuto marxista, nel 1898 viene arrestato durante una dimostrazione studentesca ed espulso dall´università. In seguito al suo coinvolgimento in attività illegali è condannato a tre anni di confino nella Russia centrale poi, nel 1904, si trasferisce con la moglie a San Pietroburgo. Pur essendo un fervente cristiano ortodosso, non risparmia le critiche alla Chiesa istituzionale; nel 1913 attacca duramente il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa, e per questo viene accusato di blasfemia e esiliato in Siberia, condanna evitata a causa dello scoppio della Grande Guerra e della Rivoluzione.
Berdjaev non poteva accettare il regime dei Bolscevichi, sia per il marcato l’autoritarismo, sia per lo schiacciante predominio sulla libertà dell´individuo. Nel 1922 il governo bolscevico lo espelle insieme ad altre 160 personalità della cultura sovietica che avevano scelto di difendere le libertà individuali.
In un primo momento Berdjaev e gli altri dissidenti riparano a Berlino, ma presto le difficili condizioni economiche e politiche dalla Germania postbellica lo costringono a trasferirsi a Parigi nel 1923. Nella capitale francese fonda un´accademia, elabora il proprio pensiero, e lavora per uno scambio di idee con la comunità intellettuale francese. Durante l´esilio francese scrive una quindicina di libri, inclusi i lavori più importanti. Muore a Clamart, presso Parigi, il 24 marzo 1948. Numerosi pensatori sono stati influenzati dal pensiero di Berdjaev, ma il suo lavoro è stato ed è spesso oggetto di controversie. Le sue opere sono lette principalmente nei circoli della filosofia esistenzialista e della teologia ortodossa.

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