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La #frode ai danni dello #Stato si amplifica-i furbetti del cartellino sfidano il fato

L’ospedale “Loreto Mare” di Napoli è solo l’ultimo ente pubblico ad essere coinvolto nello scandalo dei cosiddetti furbetti del cartellino: infermieri e medici specialisti che, dopo aver timbrato il cartellino registrando la presenza nella struttura pubblica, si allontanavano per recarsi nei propri studi privati a visitare i pazienti per ricavare guadagni extra, o per dedicarsi ai propri hobbies o ad altre attività. Dipendenti pubblici che, oltre a poter contare sulla sicurezza di un posto fisso e di uno stipendio certo, si sono presi il lusso di dedicarsi ad attività parallele. Impuniti, la cui attività illecita arreca costantemente un danno all’immagine dei pubblici servizi non quantificabile: quanta fiducia può riporre il cittadino in una Pubblica Amministrazione che non riesce a garantire servizi all’altezza del prezzo pagato dai cittadini? Quanta fiducia può riporre il cittadino in uno Stato che non riesce a gestire i propri dipendenti? Intanto molti giovani sono costretti ad abbandonare il proprio Paese, mortificati dalla mancanza di posti di lavoro, e tante sono le persone costrette ad attendere mesi per sottoporsi ad una visita in una struttura pubblica.
 

Di fronte a questi episodi vergognosi, i politici giurano di correre ai ripari, promettendo l’approvazione di nuove leggi, ma ciò che accade nella maggior parte dei casi è ridicolo. Si finisce per sospendere i dipendenti furbetti, che continuano a percepire la retribuzione di base fino alla conclusione del procedimento disciplinare. Ma cosa succederebbe se il furbetto fosse un dipendente impiegato nel privato? Siamo certi che si agirebbe con la stessa clemenza? E siamo anche certi che si assicurerebbe la stessa presunzione di innocenza? Non si tratta di voler a tutti i costi promuovere una politica del licenziamento a tappeto, visto che questa sanzione disciplinare dovrebbe essere la extrema ratio. Ma in quali casi applicarla se non in quelli che sviliscono l’immagine del settore pubblico, che mortificano i dipendenti ligi al dovere e fanno infuriare i cittadini, costretti a pagare infinite tasse per finanziare un settore che non funziona come dovrebbe? Sarebbe opportuno eliminare la convinzione che ai dipendenti pubblici tutto sia permesso, perché la legge stabilisce esattamente il contrario.
 

Il rapporto di impiego pubblico è il rapporto di lavoro in base al quale una persona fisica presta un’attività alle dipendenze di una pubblica amministrazione. Si tratta di un rapporto volontario e retribuito. Da questo rapporto discendono diritti (tra cui quello alla retribuzione, al trattamento pensionistico, a premi, ecc.), ma anche obblighi. L’impiegato pubblico, infatti, deve assicurare la qualità dei servizi offerti e la prevenzione dei fenomeni corruttivi, attenersi ai doveri di diligenza, lealtà, imparzialità e offrire il proprio servizio nell’esclusivo interesse pubblico. Egli, di conseguenza, non può chiedere o accettare compensi, regali e altri vantaggi connessi con l’esercizio della propria funzione. Gli impiegati pubblici sono tenuti a osservare quanto stabilito nel codice di comportamento, che è pubblicato in Gazzetta Ufficiale e consegnato al dipendente, che al momento dell’assunzione è tenuto a sottoscriverlo. Dalla violazione dei doveri previsti dal codice di comportamento deriva la responsabilità disciplinare ed è rilevante anche ai fini di altri tipi di responsabilità: civile, amministrativa, contabile. Le violazioni gravi o reiterate del codice di comportamento possono comportare l’applicazione della sanzione estrema: il licenziamento disciplinare. È compito di ciascun dirigente vigilare sul rispetto del codice di comportamento.
 

Dunque, dalla violazione dei doveri connessi con il rapporto d’ufficio discende la responsabilità disciplinare e tra le principali cause di licenziamento disciplinare vi è proprio la falsa attestazione della presenza in servizio.
 

Non servono nuove leggi: basterebbe applicare quelle già vigenti.

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