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“Ho smesso di essere una foto per tornare ad essere un uomo”: la storia di Marco

Nel verde del celebre “pratone” dell’Università La Sapienza di Roma, tra i numerosi studenti seduti, intenti a fumare, a parlottare, a leggere un libro, a mangiare, a scrivere messaggi al cellulare, si aggira un ragazzo, che potrebbe sembrare come tanti altri alla ricerca di un posto in cui sostare, su quel verde. Osservandolo attentamente si può ben comprendere che, in realtà, il posto che sta cercando non è su quel prato, ma nel mondo: nel mondo reale. Questo ragazzo avrà sicuramente trovato un posto nel mondo virtuale, postando le proprie foto su un social network, avrà trovato il suo posto accanto ad una ragazza, avrà trovato forse anche il suo posto di lavoro o un posto su uno dei vagoni affollatissimi della metropolitana della capitale.

Marco Petito ha 23 anni, vive nella provincia di Roma e potrebbe sembrare davvero un ragazzo come tanti. Da qualche settimana questo ragazzo ha iniziato a cercare un dialogo con i suoi coetanei: quasi ogni giorno avvicina i tanti ragazzi che affollano il “pratone” per porre loro domande all’apparenza banali, ma sulle quali spesso nessuno riflette seriamente. D’altra parte è proprio alle domande più semplici che è difficile trovare risposta.

Il suo obiettivo è quello di provare a tagliare il filo che inchioda i giovani come lui alla rete, invitandoli alla riflessione: una rete che ruba l’anima ai ragazzi, che li incatena invece di renderli liberi e che taglia loro le ali della speranza per il futuro. E forse ha proprio ragione lui, questo ragazzo dalla faccia pulita e dagli occhi che lasciano trasparire tanta fiducia nelle persone; questo ragazzo che si lascia guidare dalla speranza di poter ancora godere dei rapporti reali, autentici, che crede nella forza dell’amicizia vera e non quella virtuale veicolata dai social network, realtà pronta a scomparire una volta spento lo schermo del computer. È davvero questo che vogliamo? È davvero questo genere d’identità che vogliamo conservare? Vogliamo davvero vivere in una realtà fatta di pixel e null’altro? Una realtà che potrebbe scomparire e inghiottirci in un buco nero e che, per questo, tiene legate a sé milioni di persone, milioni di ragazzi che trascorrono molto, troppo, tempo davanti ad uno schermo, dimenticando quanto possa essere bello godere del profumo della natura, del sorriso sincero di un amico o di un bacio, reale, dato alla ragazza amata.

L’esempio di Marco dovrebbe far riflettere tutti perché è talmente bello riscoprire l’autenticità della vita al di fuori di uno schermo che storie come la sua meritano di essere raccontate, con le sue parole.

 

Marco, quando hai deciso di iniziare questa indagine tra i tuoi coetanei? Quale è stato il motivo che ti ha spinto a voler approfondire il tema dell’utilizzo dei social e di internet?

«Ho deciso di iniziare a condurre questa indagine nei primi giorni di aprile. Ho notato troppe differenze tra me e la maggior parte dei miei coetanei, che perdono minuti, ore, giorni preziosi della loro vita utilizzando i loro smartphone. Sì, penso sia questo il motivo che mi ha spinto ad intervenire.»

 

Hai notato differenze che ti hanno spinto a intervenire in che modo? Ti consideri promotore di una filosofia di vita che rifiuta totalmente l’utilizzo degli strumenti forniti da internet?

«No, assolutamente. Io considero internet uno strumento fondamentale per la ricerca di informazioni su temi importanti, per poter consultare articoli dedicati alla prevenzione dei tumori o che promuovono stili di vita sani, ma anche siti dedicati allo studio delle lingue, che offrono risorse gratuitamente. Ciò che voglio dire è che, se usato in maniera intelligente, internet può essere una risorsa molto importante per l’umanità, ma se sono intervenuto è perché credo che la maggior parte della popolazione mondiale, e nel nostro caso quella italiana, ne faccia un cattivo uso.»

 

Sostanzialmente la tua è una critica all’utilizzo scorretto di internet. Ma quale è, invece, il tuo rapporto con la rete? Tu utilizzi i social network?

«Li ho utilizzati, o meglio loro hanno utilizzato me. Il primo social che ho installato è stato Facebook, nel 2011, all’età di 18 anni. Mi sono poi avvicinato a Twitter e successivamente anche Messenger, Whatsapp e Instagram.»

 

Hai sottolineato una cosa molto importante: i social ti hanno utilizzato. Quale è stato il motivo che ti ha spinto ad allontanarti o, come hai preferito sottolineare, a smettere di farti utilizzare?

«Ho deciso di allontanarmi dai social network perché, come accennato in precedenza, mi sono sentito utilizzato da loro e ho iniziato a pormi alcune domande: in 4 anni ho raggiunto i 300 amici, ma di questi quasi nessuno poteva essere definito mio amico. Per amicizia io intendo quella vera, quella in cui si è pronti ad aiutarsi nel momento del bisogno. Avere un amico significa avere realmente qualcuno accanto qualora dovesse accaderti qualcosa di grave ed è stato proprio in questo momento che mi sono reso conto di quanto sia finto e falso il mondo dei social. Diciamoci la verità: messaggiare sui social, qualsiasi essi siano, è molto semplice e permette di parlare con chiunque, in qualsiasi momento.  Probabilmente questa è proprio la cosa più grave: basiamo le nostre sicurezze su ciò che gli altri pensano di noi, o almeno quello che dicono di pensare di noi, attraverso “mi piace”, “lovers”, “likers”, invece di fondarle su ciò che noi vogliamo dagli altri. Spesso mi chiedo dove siano finiti i sentimenti. Io ho deciso di abbandonare i social network perché non voglio accontentarmi dei “mi piace” da parte di una ragazza che finge di essere interessata a me: ciò che voglio è essere amato, nella vita reale. Un’altra triste verità, di cui mi sono reso conto, è che una coppia che condivide ogni momento della propria vita sui social si separa presto. Quante volte le persone pubblicano foto che le ritraggono felici e innamorate, per poi separarsi dal partner dopo poco tempo? Io credo che l’utilizzo spropositato dei social abbia fatto perdere di vista i veri valori: quello di un’amicizia duratura, quello di un amore vero, così come quello della famiglia.»

 

Hai detto di aver vissuto la realtà dei social network e hai trovato un mondo prevalentemente costituito da persone prive di valori, in cui i rapporti non sono autentici e la misura di sé stessi è data dai “mi piace”. Sorge allora spontanea una domanda: tu ti consideri deluso o disilluso?

«I social network sono una delusione: sono nati per socializzare, ma in molti casi dividono, discriminano, deprimono, uccidono. Io ho imparato che per giudicare se una cosa sia giusta o sbagliata bisogna conoscerla ed è proprio per questo che oggi posso dire che i social sono sbagliati, o meglio, vengono utilizzati in modo sbagliato; di esempi ne posso fare tanti: non è giusto avere dei pregiudizi su una persona solo perché omosessuale, perché straniera, o perché comunque è semplicemente diversa da noi, ma occorre prima conoscerla e penso che i social non permettano di farlo. Pensiamo a Whatsapp: all’università sono stato testimone della creazione di alcuni gruppi che prendevano in giro una persona omosessuale o un’altra perché era straniera e aveva un diverso colore

della pelle o ancora perché aveva dei difetti fisici. In questo caso il social ha unito, è vero, ma chi? Un gruppo di ignoranti, che invece di concentrarsi su sé stessi e trovare il modo di utilizzare in modo positivo l’opportunità data dal social network lo ha sfruttato per criticare gli altri. E sono certo che esistano gruppi ancora peggiori di quelli che ho potuto conoscere io, in cui si fanno e si dicono cose assolutamente prive di ogni utilità.»

 

Alcune persone riescono però a utilizzare internet attirando l’attenzione su di sé, mettendo in mostra la propria persona. Tu cosa pensi delle webstars?

«Penso che siano uno scandalo. Alla maggior parte di esse gli viene dato questo soprannome solo per aver caricato video in cui fanno o dicono cose banali. Credo che questo sia molto grave. A mio parere una web star dovrebbe essere un altro tipo di persona, come ad esempio uno scienziato o un poeta o uno scrittore. La verità è che, secondo me, si dà troppa importanza a persone che non meritano di goderne.»

 

Sicuramente il tuo pensiero è comune nei giovani, ma non tutti decidono di allontanarsi dai social network e, più in generale, da internet, lasciando che la rete continui a rapirli. Quale credi sia il motivo che spinge le persone a trascorrere molte ore della giornata al computer?

«Il primo motivo che mi viene in mente è sicuramente la solitudine: chi si sente solo vede nei social network una soluzione a questo malessere, entrando in una realtà piena di persone. Ma anche la rabbia può portare all’utilizzo della rete per sfogarsi e spesso lo si fa facendo del male agli altri: si pensi ai tanti casi di cyberbullismo, per esempio. Io non contesto totalmente l’uso del computer: ci sono persone che lo utilizzano per il lavoro o per lo studio e in questi casi è ovvio che non ci sia nulla di patologico nel trascorrere molte ore davanti allo schermo, anche se molti studi hanno dimostrato che anche in questi casi è alto il rischio di danni agli occhi e al cervello. Ciò che io trovo patologico è la dipendenza dallo smartphone, dal computer o dal tablet, che porta le persone a controllare le notifiche dei social network come se si trattasse di una cosa di vitale importanza. E la cosa più grave è che spesso lo diventa: si arriva addirittura ad avere il terrore di superare il limite massimo di gb messi a disposizione dal proprio operatore telefonico. Un terrore che riflette quello più reale, ovvero non essere connessi alla rete e tornare nella propria realtà, spesso fatta di solitudine e frustrazione.»

 

Quindi le persone sono portate a sfogare la propria rabbia e frustrazione nella rete, spesso sugli altri. Ritieni che l’utilizzo errato di internet possa in qualche modo contribuire alla diffusione della cultura della violenza?

«Assolutamente sì. Purtroppo sono aumentati i casi di cyberbullismo, così come quelli di violenze anche fisiche, i cui video sono pubblicati su YouTube. Non è raro imbattersi in video pubblicati in Rete, in cui ragazzi e ragazze vengono picchiati, violentati e derisi da baby gang o bande di teppisti. Anzi, colgo l’occasione per ricordare a chiunque dovesse leggere questo articolo di denunciare qualsiasi atto di bullismo, sia fisico che morale. A tutti voi voglio dire che non siete soli e che non è colpa vostra se alcune persone, per avere più autostima o per ottenere l’approvazione degli altri, del gruppo, non si fanno scrupoli e calpestano la dignità e la libertà degli altri. Sono loro a doversi vergognare. Voi, invece, dovete essere onorati di non essere come loro e avere il coraggio di ribellarvi, anche chiedendo aiuto alle persone a voi più vicine che sapranno sicuramente comprendere la situazione e offrirvi tutto il sostegno di cui avete bisogno.»

 

Questo pensiero per le vittime di bullismo deve essere assolutamente condiviso. Spesso per timore le vittime di violenza non denunciano e sono sopraffatte dal senso di vergogna, che ruba la scena al coraggio. Come è accaduto alle presunte vittime di Valentino, il ragazzo romano sieropositivo che ha contagiato più di 50 persone, adescate principalmente su internet. Cosa pensi di questa vicenda?

«Ho sentito parlare molto di questo caso e devo dire che sono rimasto senza parole. Non riesco a comprendere come si possa contagiare altre persone essendo consapevoli della propria sieropositività, anche se le vittime sono state troppo facilmente adescate. E questo è un altro male dei social network. Le persone tendono a fidarsi ciecamente degli sconosciuti, proprio perché forse arrivano ad avvicinarsi alla rete perché sole, e accettano appuntamenti, senza pensare che quella persona potrebbe essere chiunque: anche un malintenzionato, come nel caso di Valentino. Allora colgo nuovamente l’occasione di invitare i ragazzi e le ragazze a fare attenzione e uscire solo con persone che si conoscono bene.»

 

Nel corso di questa chiacchierata ti sei rivolto più volte ai lettori: hai un ultimo messaggio da inviare ai giovani e meno giovani che utilizzano in maniera errata internet?

«Di consigli da dare ne avrei tanti, ma il primo invito che vorrei rivolgere a tutti è di essere sé stessi e non come vogliono gli altri. Non si deve aver paura di restare soli o di essere giudicati in un certo modo: gli altri esprimeranno sempre giudizi, basta varcare la soglia di casa. Quello che conta realmente è riuscire a trovare la propria identità. Un altro consiglio che vorrei dare è quello di sentirsi liberi. Ragazzi, siate liberi di amare voi stessi, di amare gli altri, di sbagliare, di non essere iscritti ai social network, ma coltivare comunque amori e amicizie. Siate liberi di non essere come gli altri! Io mi sono allontanato dai social network e non nascondo di aver avuto paura inizialmente. Mi sono chiesto dove avrei trovato la mia sicurezza, con chi sarei uscito a fare una passeggiata di sera o nel pomeriggio. Mi sono chiesto con chi mi sarei sfogato quando fossi stato triste. Mi sono chiesto anche se mai mi sarebbe capitato qualcosa di bello. In qualche giorno ho trovato risposta a tutte queste mie domande: ci penseranno Francesca e Alen, i miei più cari amici. Forse qualcuno sorriderà chiedendo: “Beh, hai solo due amici?”. Sì, ho solo due amici, che insieme ne fanno un numero che non so quantificare perché forse non esiste neppure, e non li cambierei per nessuna cosa al mondo. Loro mi accettano per quello che sono e non mi hanno mai chiesto di cambiare, né di essere diverso. Vivere senza i social network è possibile, avere amici veri è possibile e nella vita non conta quello che si ha, ma chi si ha. Infine, l’ultimo consiglio che vorrei dare è di respirare la vita, senza perderla in chat, in video privi di contenuti utili o spiando la vita altrui perché tutto questo tempo non tornerà indietro. Sono certo che la maggior parte di chi leggerà queste parole, così come molte delle persone che ho incontrato e con le quali ho avuto modo di parlare della mia esperienza sono a conoscenza del fatto che le amicizie virtuali non appartengono loro. Magari queste persone vorrebbero avere una vita diversa, migliore, in cui essere sé stessi e circondati da persone in grado di accettarlo realmente, e di dimostrarlo con un “Mi piaci” detto a voce alta e non con un “Like”, oppure con un “Ti amo” sussurrato e non con un “Lover” lasciato sulla pagina di un social network qualsiasi. Ma oltre a questi consigli, io vorrei porre a tutti una domanda: cosa desiderate? Desiderate essere persone che seguono ciò che gli altri fanno oppure desiderate essere semplicemente voi stessi? A scegliere potete essere soltanto voi.»

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