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Con l'Unione Bancaria risparmiatori all'angolo?

Gli incontri al vertice per la formazione dell'Unione Bancaria Europea procedono, a Bruxelles, fra i ministri dell'Economia degli Stati membri, i rapresentanti di Ecofin, BCE e Fondo Monetario Internazionale. Una partita che si gioca ai piani alti, ma con le risorse della gente. Con soldi derivati dalle entrate fiscali e, chi lo sa, forse anche dei conti correnti depositati nelle banche. Nei fatti, che cosa è l'Unione Bancaria se non questo? Ne deriva automaticamente una  domanda: che cosa succederà in caso di fallimento, o comunque di cattivo funzionamento, non in linea con le previsioni? E' previsto l'intervento del Fondo Salva Stati e dell'ESM (Europeran Stability Mechanism)? E se tutto questo non fosse risolutivo, con quali risorse si dovrà intervenire? Forse direttamente con i soldi dei cittadini?
Uno dei punti focali del sistema in discussione è appunto la gestione di uno stato fallimentare delle banche. Di certo è un'eventualità che deve essere presa in considerazione. Qui entra in campo la Germania, dalla quale si hanno pressioni perché dopo un periodo di transizione di 10 anni si provveda all'adozione del meccanismo ESM. Con buona pace e felicità della Bundesbank.
Il ministro italiano dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, ha puntato i piedi di fronte alle pressioni tedesche, per non correre il pericolo di essere messo davanti ad una scelta dalla quale ne deriverebbe, a suo dire, l'adozione di un meccanismo ancora difettoso e che nel frattempo però deve essere reso funzionale. La gestione dei fallimenti degli istituti bancari e del modello tedesco di “banca mista” dove le risorse a disposizione hanno importanza secondaria e possono essere impiegate senza distinzione per operazioni finanziarie dirette sia verso i normali clienti, sia in investimenti a lungo termine con l'acquisto di titoli, azioni o obbligazioni di società commerciali o industriali. Secondo questo concetto, non avrebbe alcuna importanza da dove provengono le risorse impiegate, se dai conti correnti dei risparmiatori, dall'emissione di obbligazioni oppure da azioni dello stesso istituto bancario.
Un rischio da non trascurare: si tenga presente che sono state proprio le speculazioni a lungo termine con i soldi dei risparmiatori, a innescare la crisi bancaria negli Stati Uniti, e di conseguenza a dare avvio a quella che poi è stata ed è la crisi europea, che sta strangolando l'economia di molti Paesi ormai dal 2007.
In Italia, la Legge Bancaria del 1936 stabiliva una netta distinzione fra banche che operano a livello commerciale e banche funzionanti in base a operazioni di investimento. Fu una scenta voluta per controbattere la strategia dei finanzieri del tempo, primi fra tutti le famiglie Perrone e Agnelli, che stavano tentando la scalata al Credito Italiano e alla Banca Commerciale Italiana, con l'intento di azzerare il loro debito verso le banche stesse. Quella legge è poi stata abrogata alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, mettendo allo scoperto le connivenze dell'Alta Finanza.
In questo senso, nulla vieta di pensare che le soluzioni alle quali sta puntando il vertice Ecofin, siano un logico obiettivo per fare guadagnare alle banche più potere possibile. In questo scenario si potrebbe inquadrare il mega prestito di oltre mille miliardi concesso dalla BCE di Mario Draghi a diversi istituti di credito europei, con un tasso di interesse bloccato all'1%, che naturalmente le banche hanno utilizzato per rimetttere in sesto il proprio patrimonio (precedentemente intaccato da investimenti sbagliati e speculazioni troppo azzardate) e oggi pronte a proseguire la partita.

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