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Siria – Il simbolo del cinismo internazionale

Si fa tanto un bel dire contro il regime Assad che sta giornalmente perpetrando stragi indiscriminate. Si condanna, si critica, si grida alla negazione dei diritti umani, ma si continua a non fare nulla. Sono l'ipocrisia e il cinismo internazionale gli aspetti più ignobili di ciò che sta succedendo in Siria.
Quando pochi ribelil libici hanno accennato a manifestare contro il regime di Gheddafi, mezzo emisfero occidentale, Italia in prima fila, si è mobilitato con aerei, elicotteri, basi militari, missioni internazionali, per garantire alla Libia un futuro che potesse assicurare la continuazione dei rapporti commerciali basati sull'economia del petrolio. In Siria non c'è petrolio? Bene, allora non vale la pena. Che si massacrino pure fra loro. E l'Onu torna a dimostrare di essere quel baraccone insignificante, quel mostruoso apparato burocratico che nei fatti può fare ben poco.
Hama, Hula, Damasco, Idlib, sono solo nomi. Che siano state deliberatamente massacrate centinaia di persone, fra le quali oltre 50 bambini e altrettante madri, casa per casa, con sorprendente sangue freddo, poco importa.
La facciata è salva: la Siria è stata dichiarata “Stato canaglia”.
C'è però un problema che si chiama Bashar al Assad, che sta incarnando la figura del nuovo tiranno, sul quale pesano oltre 14.500 morti, ma ci si limita a farsi il dispetto di espellere le reciproche rappresentanze diplomatiche, per fare apparire Assad come un despota isolato. La realtà è diversa, non è così. E il motivo è lo stesso cinismo internazionale. Il parallelo con la Libia è d'obbligo: per la Siria non c'è un Sarkozy che, sia per ben figurare sulla scena mondiale, sia per motivi politicamente personali, si faccia baluardo della coalizione dei “buoni” contro il “cattivo” di turno e faccia il primo passo. Eppure la Francia non è certamente estranea a rapporti con la Siria. La storia insegna. Come non lo è nemmeno la Gran Bretagna, e diversi altri Paesi.
Il neo presidente francese, Francois Hollande, ha parlato di una remota possibilità di intervento, soprattutto in campagna elettorale (!) ma in termini molto vaghi, e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha solo autorizzato sanzioni che non vanno certamente a modificare la situazione della gente comune, ma vanno a sfiorare in minima parte gli interessi di grandi multinazionali che possono assorbire il provvedimento senza soffrire più di tanto. Assad fa poi buon gioco, astutamente, del veto di Russia e Cina, preziosi alleati politici e soprattutto commerciali, senza contare l'appoggio incondizionato del presidente iraniano Ahmadinejad. E in verità, gran parte dei governi occidentali che condannano a spada tratta Assad, in fondo non hanno quella grande convenienza in un crollo del regime di Damasco.
Quella “Primavera araba” all'origine di epocali cambiamenti in Paesi come Algeria, Tunisia, Egitto, in Siria avrebbe solo contribuito in minima parte ad approfondire i divari interni del mondo musulmano. Una plausibile spiegazione del ruolo che avrebbe il vicino Israele nel manifestare la massima cautela, anche come storico nemico della Siria e soprattutto dell'Iran. In tal modo Assad, che tutti dicono aver perso la legittimazione a stare al potere, in realtà continua indisturbato ad esercitare quella autorità ereditata dal padre Hafez, a sua volta tiranno autoritario del Paese dal 1971 al 2000, anno della morte. Un'autorità trasmessa poi in linea indiretta, dal momento che il legittimo successore doveva essere l'altro figlio Basil, morto in un indicente… Bashar, principe secondogenito, medico oculista, arriva così al potere, mentre fino ad allora aveva trascorso la maggior parte del suo tempo all'estero con moglie e tre figli. Solo allora ha cominciato ad interessarsi al proprio Paese, lontano dall'essere l'uomo che avrebbe potuto essere il mediatore dei millenari dissidi fra Alauiti (setta islamica di famiglia), Sciiti e Sunniti. Se inizialmente poteva essere considerato il re che avrebbe dato inizio ad un rinnovamento del Paese, alla fine non ha saputo sottrarsi alla spirale di violenza e repressione che da sempre contraddistinguono la storia del mondo arabo.

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