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Ucciso in un agguato 19 anni fa a Livorno, 3 arrestati

 

– A 19 anni di distanza arrestati il presunto esecutore, un complice e l’uomo che averebbe fornito la pistola per l’omicidio di Alfredo Chimenti, 47 anni, livornese.
L’uomo fu ucciso il 30 giugno 2002 davanti alla sua abitazione di piazza Mazzini a Livorno.

Un agguato in cui per gli inquirenti il movente sarebbe individuabile nei contrasti, sorti all’epoca del fatto nel mondo delle bische e del gioco d’azzardo clandestino. I tre arresti sono avvenuti nell’ambito di un’operazione, denominata ‘La Garuffa’ dal nome del circolo di cui Chimenti faceva parte, condotta da carabinieri e guardia di finanza di Livorno e coordinata dalla procura della città toscana, che ha portato in totale a 11 misure cautelari eseguite tra Livorno e Pisa: i reati contestati, a vario titolo, sono omicidio premeditato, associazione per delinquere, usura aggravata, estorsione aggravata e porto abusivo di armi da sparo. La vittima, come riporta l’ordinanza del gip, era diventato un soggetto non gradito alla “batteria” per i suoi comportamenti “prepotenti ed ostativi” nei confronti del gruppo criminale, come ad esempio il no all’assunzione al circolo La Garuffa di una persona vicina alla stessa “batteria”. Non solo, secondo le risultanze investigative, con i suoi comportamenti dimostrava di non aver timore dei rivali finendo per eroderne il prestigio criminale. Da qui la decisione di “levarlo di mezzo”.
Le ulteriori indagini, che la Procura di Livorno ha riattivato proseguendo l’attività della Dda di Firenze, e condotte dai Carabinieri con il determinante contributo del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Pisa, hanno portato alla luce anche l’attività di un’associazione per delinquere, che operava da tempo nel capoluogo, finalizzata all’usura ai danni di persone in difficoltà economiche, e estorsioni nei confronti di esercenti attività commerciali. Definito “originale” dagli stessi inquirenti il sistema che avrebbero utilizzato per l’usura: il “contratto” prevedeva che le vittime acquistassero dall’usuraio oggetti in oro ad un prezzo notevolmente più alto dell’effettivo valore (circa il doppio e a volte anche il triplo), rivendendoli al loro prezzo corrente a compro-oro compiacenti.

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