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Tutto sulla grande truffa degli avvocati per il famoso bonus da 600 euro

Per accedere al reddito d’emergenza, 400 euro una tantum destinati ai poveri, quelli veri, il Governo ha messo così tante condizioni che alla fine ne ha beneficiato appena un terzo della platea. Invece per chiedere il bonus autonomi da 600 euro al mese, che presto diventerà di 1000 euro al mese, le condizioni sono pochissime. Complice probabilmente la fretta di iniettare liquidità immediata, non è stato posto nessun filtro, nessun controllo, lasciando campo libero ai truffatori più insospettabili: gli avvocati. È da aprile che in Italia, da nord a sud, nessuna regione esclusa, i titolari degli studi legali chiedono, ordinano ai propri collaboratori, di fatto dipendenti, di accedere ai 600 euro dello Stato e decurtarli dal proprio stipendio mensile.

IL METODO

L’avvocato titolare dello studio legale invia una mail, un sms, un messaggio via Whatsapp, oppure, se è più furbo, chiama l’avvocato dipendente, e gli chiede di accedere ai 600 euro di bonus statale e di decurtarli dalla fattura. Non di rado la comunicazione è solo di cortesia e serve per avvisarlo della decurtazione già applicata sul bonifico. La scelta del modus operandi è tutto fuorché neutrale: nel primo caso il titolare chiede di partecipare attivamente alla truffa, nel secondo caso lascia che sia il dipendente a decidere se compiere o no l’illecito, in ogni caso, via 600 euro dallo stipendio. Una vera e propria truffa ai danni dello Stato che espone a conseguenze penali, a partire dal reato di violenza privata.

Sono oltre una cinquantina le testimonianze dirette corredate da prove scritte  nell’arco dell’ultimo mese. Con la collaborazione di M.G.A, il sindacato italiano forense senza il quale l’inchiesta non sarebbe stata possibile, trentenni, quarantenni, ma anche cinquantenni, si sono aperti ai nostri microfoni timorosi di perdere il lavoro, il nome, la faccia. “Se mi riconoscono è la fine, nell’avvocatura per uno che viene segnato da uno studio legale perché ‘rompipalle’ poi è impossibile trovare lavoro altrove”. Piegati a ogni tipo di mansione, anche di segretariato, fanno la fortuna degli studi legali di piazza San Babila a Milano, dove stanno gli “avvocati che contano”. Grazie a loro prosperano gli uffici legali a ogni latitudine, dal ricco Triveneto, passando per l’aristocratica Firenze, e finendo nella problematica Taranto. Dalle mani di questi anonimi lavoratori esce la maggioranza degli atti giudiziari senza che però compaia la loro firma, perché quella spetta al titolare, al barone di turno, che sia di destra o di sinistra, che si prodighi per le royalties delle banche o per i diritti degli operai dell’ex Ilva non fa alcuna differenza.

LO SCANDALO

“Oggi si grida allo scandalo perché 5 parlamentari, con procedura perfettamente legale, hanno ottenuto quel bonus, ma sindacati, partiti, associazioni, e altre soggettività che oggi si strappano le vesti per la vicenda dei parlamentari con sussidio, avrebbero dovuto segnalare prima, al momento dell’approvazione del Cura Italia, le criticità della previsione di un’erogazione a pioggia indistinta” dichiara a Fanpage.it l’avv. Cosimo Damiano Matteucci, presidente di M.G.A. “Perché nessuna altra soggettività ha ritenuto di far sentire la propria voce circa un dettato normativo, che come oggi plasticamente vediamo, consente distorsioni evidenti? Solo MGA parlò, allora. Oggi molti, populisticamente, puntano il dito contro 5 tapini che non fanno altro che applicare una legge ingiusta”, le fa eco l’avv.ssa Valentina Restaino, tesoriera del sindacato.

LE MOSSE DEL GOVERNO

In data 24 aprile il sindacato italiano forense M.G.A. ha denunciato questa pratica illecita a più di dieci tra le massime autorità dello Stato, inviando una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri, (nonché avvocato) Giuseppe Conte, alla Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’on. Nunzia Catalfo, al Ministro dell’Economia e Finanze, l’on. Roberto Gualtieri, al Direttore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, al Comandante generale della Guardia di Finanza, il dott. Giuseppe Zafarana, al Presidente dell’I.N.P.S., il dotto. Pasquale Tridico, al Coordinatore dell’Organismo Congressuale Forense, l’avv. Giovanni Malinconico, al Presidente della Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza Forense, l’avv. Nunzio Luciano, alla Presidente del Consiglio Nazionale Forense, l’avv. Maria Masi, al Segretario della C.I.G.L., il dott. Maurizio Landini, all’esecutivo nazionale confederale USB – Unione Sindacale di Base, e alla Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputi, l’on. Francesca Businarolo. Risultato? Nessuna risposta. Un silenzio sospetto, che suscita più di una domanda, considerato che più della metà dei parlamentari italiani è anche avvocato e titolare di uno studio legale.

 

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