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Tolleranza zero, risultati zero

 

Non basta credersi sceriffi. L’appello di oltre trecento residenti delle Vigne e della Maddalena, stanchi di convivere con la crescita dell’incuria e dello spaccio, è da leggersi come uno dei tanti effetti dell’aver privilegiato una sicurezza tutta di facciata a scapito di un aumento dell’insicurezza reale. La proclamata “tolleranza zero” continua a produrre un “risultato zero”. Intendiamoci, il centro antico della città non è e non era quella giungla di illegalità e di pericolo che la Lega denunciava con gran cassa mediatica. Ma allora c’era la campagna elettorale per il Comune e i verdi-neri facevano le prove di avvio della stagione delle ruspe e dei lanciafiamme. Il Centro Storico è piuttosto un territorio fragile, dove confinano e si intrecciano la città attrattiva e del turismo e quella del degrado urbano e sociale.
Conseguenza di un processo di rigenerazione non compiuto, di una progressiva inerzia istituzionale, di una lunga assenza di strategie di riqualificazione e di valorizzazione. Una questione complessa a cui non si è messo in alcun modo mano in questi due anni. Si sono preferiti tappetini e ombrellini alla derattizzazione, a una più civile raccolta di rifiuti, a una meno confusa gestione delle zone pedonalizzate, a un arredo urbano almeno decente.
Questo per richiamare le “piccole cose”. Sulle grandi il buio è ancora più fitto: Fregoso, Maddalena, Prè rimangono buchi neri e si sono aggiunte, in termini di sempre più ridotta qualità di vita, San Luca e Via del Campo. L’invincibile armata della lotta all’illegalità è poi scomparsa nel nulla tra annunci poco meditati e imbarazzanti scivoloni. La realtà è che dopo la grande svolta rappresentata da Architettura e la Tosse a Sarzano, il Porto Antico, le stazioni della metropolitana, il recupero diffuso legato a Genova 2004 e ai Rolli con il Patrimonio dell’Umanità Unesco 2006 si è persa quella spinta propulsiva che teneva virtuosamente insieme soggetti pubblici e privati. Le code lunghe di quella fase, ma ormai fuori da un disegno complessivo, si sono viste al Ghetto, alle Erbe e, più recentemente, a Sarzano. Ma si era ormai abbandonato quel piano strategico lucidamente perseguito da Bruno Gabrielli e frutto di anni di dibattito pubblico. L’intuizione della città d’arte e del turismo come volani di sviluppo nell’età post industriale ha trovato corrispondenza nei fatti ma sempre meno in una regia istituzionale. È così riemerso, anche per effetto della grande crisi, il degrado con la fuga degli abitanti, i negozi chiusi, la moltiplicazione dei vuoti.
Chi ha davvero retto sono stati gli imprenditori che puntavano insieme sulla qualità e sulla bellezza della città antica, l’associazionismo civile e solidale, tanti residenti con un forte sentimento di appartenenza a questo luogo unico in Italia e al mix sociale ed etnico che ne è da secoli la vera anima.

Perché la convivenza con l’immigrazione più che trentennale non è in discussione. Lo sono piuttosto le filiere della criminalità fatta di autoctoni e stranieri che controllano e taglieggiano interi vicoli, l’indifferenza verso lo spaccio e la prostituzione, gli effetti pessimi di una movida che è sempre meno il vivere la notte e sempre più solo consumo di alcool e stupefacenti, le redite immobiliari che favoriscono affitti in nero ed esercizi improbabili in odore di riciclaggio. Ma è diverso il moltiplicare le paure, minacciare fuoco e fiamme o trovare capri espiatori dal governare davvero. La vicenda di Banchi dimostra come la retorica muscolare possa tradursi nel ridicolo. Speriamo non accada anche per Sottoripa. Si è scelto la sicurezza-vetrina, il dispiegamento spesso inutile di forze dell’ordine, il nascondimento del disagio quasi questo fosse sufficiente. Non è così. E quanto avviene alle Vigne è particolarmente grave perché uno spazio di pregio recuperato e vivo, un presidio civile fatto di commercianti e cittadini è messo in crisi per pura disattenzione, non comprensione, superficialità. È lo scarto tra lo slogan e l’azione reale e concreta.
L’incapacità di ripensare la centralità della città antica, di coniugare riqualificazione, ordine pubblico e welfare, di sostenere chi investe risorse ed energie in un’area a cui è consegnato non poco del futuro di Genova.
C’è da augurarsi che l’appello abbia rapida e positiva risposta. Che non sia un “tappullo” contingente. Non serve “spostare un po’ in là”. Bisogna tornare a misurarsi sulla complessità del Centro storico, le sue risorse e la sua fragilità. Non tornare indietro. E di allarmi ne stanno suonando sempre di più.

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