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Se la logica economica non basta, la politica non può restare in silenzio

Una barca che sta a galla, ma non salpa. Le decisioni di Mario Draghi per sostenere le banche europee non bastano per far ripartire l’economia.

L’Europa sta attraversando un periodo di grandi incertezze e sconfortanti prospettive. La Brexit, i sovranismi, il rallentamento dell’economia e le tensioni commerciali impongono agli esperti e alle istituzioni di prendere delle decisioni per sostenere le banche e i mercati. Mario Draghi sa bene che per risolvere il problema alla radice ci vogliono scelte politiche e prese di posizioni istituzionali, che però tardano ad arrivare. Nel frattempo, il capo della Banca Centrale Europea ricorre allo stimolo monetario per impedire che le banche europee continuino a perdere terreno rispetto alle rivali statunitensi. Le decisioni di Mario Draghi, però, faranno giusto questo: fermeranno l’imperterrito aumentare della distanza tra banche UE e USA, ma non aiuteranno ad accorciarla. Mario Draghi farà restare a galla la barca, ma non la farà ripartire: per quello, deve intervenire la politica.

Lo stimolo monetario potrebbe essere efficace nell’impedire che il sistema bancario sprofondi in depressione, ma non farà ripartire una solida ripresa. Lo dicevano i critici del QE a Ben Bernanke, già Presidente della Federal Reserve, e lo ripetono oggi a Mario Draghi, Presidente della BCE. Ma Draghi non si lascia convincere, e lancia la terza seria di TLTRO che partirà da settembre. La Banca Centrale compra titoli dalle banche con scadenza a 2 anni, con rientro nel 2021. Il rendimento di questi prestiti al momento rasenta lo 0%, ma potrebbe anche scendere in negativo. I targeted longer-term refinancing operations (TLTRO) permettono una nuova immissione di liquidità, incentivano le banche a concedere dei prestiti e confermano la politica monetaria conciliante che ha caratterizzato il mandato di Mario Draghi dal 2011.

“Queste nuove operazioni contribuiranno a preservare le favorevoli condizioni di prestito bancario e la regolare trasmissione della politica monetaria. Ai sensi del TLTRO-III, le controparti avranno il diritto di prendere in prestito fino al 30% dello stock di prestiti idonei al 28 febbraio 2019 ad un tasso indicizzato al tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali nel corso della durata di ciascuna operazione. Come l’eccezionale programma TLTRO, TLTRO-III offrirà incentivi interni per condizioni di credito per rimanere favorevoli”, spiega in una nota la Banca Centrale Europea.

Tra otto mesi Mario Draghi lascerà la presidenza della BCE, ma difficilmente il successore cambierà rotta.

Non è rinnovabile il mandato di Mario Draghi, che tra otto mesi dovrà lasciare al suo successore la presidenza della Banca Centrale Europea. Tuttavia, le decisioni prese oggi da Draghi vincoleranno anche il futuro presidente. Le scelte annunciate per stimolare gli istituti bancari dell’Eurozona avranno effetti nel lungo termine, e il prossimo capo della BCE si troverà un’agenda già avviata. In più, le ultime decisioni, tra cui quella di iniziare una nuova serie di TLTRO, sono state prese all’unanimità dal Consiglio della BCE, e difficilmente il successore di Draghi potrà farsi appoggiare un cambio di rotta. L’economia europea potrebbe ripartire nella seconda metà dell’anno, se si supereranno le incertezze legate alla Brexit, se le istituzioni europee usciranno solide dalle imminenti elezioni, e magari sulla scia di un trattato commerciale tra Cina e Stati Uniti.

A quel punto, forse, il successore alla presidenza della BCE potrebbe prendere spunto per rilanciare l’economia dell’Eurozona. Tuttavia, le prospettive dipingono un’immagine di crescita al ribasso. Già all’inizio del mese di marzo l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha rivisto tutte le stime nazionali, con un prospetto di crescita rallentata specialmente in Europa. La crescita della zona Euro sarà dell’1%, a fronte dell’1,8% del 2018. “Le probabilità di una recessione sono molto basse”, ha detto Draghi, nonostante le misure annunciate dalla BCE. Tuttavia, le prospettive di crescita restano orientate al ribasso, soprattutto a causa di fattori politici, come le tendenze al protezionismo, i rischi legati alla Brexit e “ciò che sta accadendo in Cina fino all’effetto sempre più debole dello stimolo fiscale negli Usa”.

Le banche europee inseguono quelle americane, ma Draghi è sempre stato solo.

Nel giugno del 2012 Mario Draghi ha fatto di tutto per salvare l’euro, sull’orlo del collasso. “Whatever it takes” era il motto. Poco dopo arrivavano il QE, con qualche anno di ritardo rispetto alla stessa decisione presa negli Stati Uniti, i primi TLTRO e i tassi sottozero. Le banche europee hanno sempre rincorso la controparte americana, ma la condizioni nazionali negli Stati Uniti hanno permesso alla Federal Reserve di aiutare più le banche che gli stati. In Europa, invece, mentre Draghi invocava una reale unione bancaria, leader e regolatori europei creavano le condizioni corrette nella teoria, disastrose nella pratica. Il sistema creditizio continentale rimaneva imbrigliato in una serie di norme e adempimenti, mentre il meccanismo del bail-in si prospettava controproducente in assenza di una rete comunitaria di protezione dei depositi.

Gli europei hanno reagito alla crisi con tre anni di ritardo. Prima di Mario Draghi, il suo predecessore Jean-Claude Trichet aveva adottato politiche miopi e irresponsabili, alzando per due volte i tassi di interesse per nascondere la polvere sotto il tappeto, e guardando ai problemi finanziari come a una sfida solo americana. Nel 2011 l’italiano si siede sulla poltrona della presidenza della Banca Centrale Europea, e comincia a rincorrere gli americani che avevano tre anni di vantaggio. Il QE in Europa è partito solo dopo la crisi del debito sovrano, perciò gli acquisti si sono concentrati sui bond governativi, mentre in America la Fed investiva su bond corporate e altri titoli emessi dal settore privato. Insomma, Draghi doveva salvare gli stati europei, mentre Bernanke già da tempo portava i tassi di interesse a zero e poteva soccorrere le banche.

La schizofrenia europea, tra gelosie sovraniste e necessità di unione bancaria

L’Europa non è stata capace di coniugare gli interessi le banche nazionali, gelosamente difesi dagli stati, con problemi di portata mondiale che necessitavano politiche comuni ed efficaci, ma che sono state invece soffocate da un sistema congestionato da un eccessivo numero di regolatori e supervisori. Mario Draghi ha evitato la catastrofe all’indomani della crisi, ha salvato l’Euro e continua a tenere a galla quella barca traballante che è l’economia dell’eurozona. Ora, però, c’è bisogno che gli stati si mettano nell’ordine di idee di avviare una ristrutturazione bancaria che parta da scelte politiche pilotate dai governi nazionali in una prospettiva europea e mondiale.

Nell’ottica di un nuovo appello all’unione monetaria e non solo, in occasione del conferimento della laurea ad honorem in Giurisprudenza dell’Università di Bologna, Mario Draghi parlava della diffusa impressione “che ci sia un trade-off tra l’essere membri dell’Unione europea e la sovranità dei singoli Stati. Secondo questo modo di pensare, per riappropriarsi della sovranità nazionale sarebbe necessario indebolire le strutture politiche dell’Unione europea”. In questo modo, secondo Draghi, si “confonde l’indipendenza con la sovranità. La vera sovranità si riflette non nel potere di fare le leggi, come vuole una definizione giuridica di essa, ma nel migliore controllo degli eventi in maniera da rispondere ai bisogni fondamentali dei cittadini”. “La possibilità di agire in maniera indipendente non garantisce questo controllo: in altre parole, l’indipendenza non garantisce la sovranità”.

Di A.C.

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