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San Francesco e il significato del suo Natale

Il Natale  fin dal suo ingresso sulla scena della storia. Non lo ferma l’incertezza del viaggio, non lo ferma la precarietà del ricovero, non lo ferma l’odiosa arroganza del potere, non lo ferma la forzata migrazione dell’esilio.

Gesù viene al mondo sfidando tutte le infauste premonizioni che accompagnano la sua nascita. Di qui siamo certi che il Natale non morirà mai. Noi continueremo a contare l’anno che viene, partendo dalla nascita di Gesù: stiamo per entrare  nel 2021 dopo Cristo. Non contiamo gli anni che ci separano dal Natale, contiamo gli anni che ci legano a Lui: sono più di duemila anni che siamo felicemente legati alla sua nascita. E non ce ne scioglieremo ora per ciò che ci circonda.

Il Natale cambia il verso del tempo che si consuma semplicemente – c’è un consumismo anche del tempo, che si beve la vita per niente e lascia i vuoti – rigenerando la nostra fiducia nella generazione e nelle generazioni che la vita la donano, felici di trasmettere la benedizione a tutti, cominciando dai bambini che, venendo al mondo, non la trovano. Francesco di Assisi vedeva nel Natale “la festa delle feste”.

Francesco voleva che l’impronta dell’avvento di Dio fosse quella associata alla gioia dell’ospitalità umana della sua Nascita, non alla paura del suoi ipotetico Giudizio. Per Francesco, la festa di Natale era il sigillo che doveva essere posto sul vero volto di Dio, da non dimenticare mai: quello di un figlio bambino, che nasce da una donna comune che aveva agiato grazia dinanzi a lui. Questo Natale nessuno ha potuto oscurarlo. Neppure la pandemia. Ecco che cosa fece Francesco, a Greccio, per imprimere nello sguardo di tutti, anche quelli che non sapevano leggere e scrivere, il Volto di Dio.

Erano i primi giorni di dicembre del 1223. Francesco, chiamò l’amico Giovanni Velita, e gli disse: “Quest’anno voglio vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato Gesù nel nascere”. E fece celebrare la Messa di Natale  in una stalla con la mangiatoia che fungeva da altare. Scrivono le Fonti: “Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e arrivarono anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare quella santa notte. Arrivato Francesco, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello.

La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia, mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio, non c’erano statuine: il presepe fu realizzato e vissuto da quanti erano presenti”. Francesco in quella stalla cantò il Vangelo, ebbe in visione il Bambino, lo accolse nell’Eucarestia. Il Papa di allora guardò con simpatia questo Presepe, nonostante lo scandalo che doveva suscitare la celebrazione della Messa in una stalla!

L’anno seguente concesse addirittura l’autorizzazione a costruirsi un altare portatile per la celebrazione della Messa nel luogo che ripeteva simbolicamente l’iniziazione umana di Dio. Quella notte Francesco diede una lezione di teologia: l’invenzione del presepe combatte, ogni volta, la tentazione di far regredire l’immagine di Dio all’arcaica rappresentazione del grande Inquisitore. Esistono molti bambini, la cui infanzia è avvilita dalla povertà, dall’abbandono, dal pericolo, fin dall’inizio. Esistono molti genitori costretti all’impossibile per nutrire e proteggere i propri figli, per i quali intraprendono fatiche estenuanti e viaggi pericolosi.

Esistono molti anziani ai quali è negata la gioia di condividere l’incanto della generazione che nasce e cresce anche grazie alla tenacia con la quale hanno onorato il compito di rendere il mondo abitabile e ospitale. Il Natale arriva anzitutto per loro: e deve arrivare fino a loro. Non è senza significato che l’invenzione di Francesco fosse saldamente associata alla distribuzione totale della gioia: fino ad abbracciare tutte le creature. Francesco esortava perché “tutti generosamente provvedessero non solo ai poveri, ma anche agli animali e uccelli.

E aggiungeva esplicitamente: “Se potessi parlare con l’imperatore lo supplicherei e lo convincerei a fare, per amore di Dio e di me, una legge speciale… che tutti i podestà delle città e i signori dei castelli e villaggi siano obbligati ogni anno, nel giorno di Natale, a comandare alla gente di gettare frumento ed altri cereali per le strade, fuori delle città e dei castelli, affinché le sorelle allodole e gli altri uccelli abbiano da mangiare in quel giorno… così chiunque abbia bue e asino sia obbligato a fornire loro generosamente della buona biada” in memoria dei loro antenati che “assistettero Gesù bambino”.

In questo Natale non lasciamo nessuno senza un gesto, un pasto, un regalo. I doni dei Magi devono arrivare a tutti quei poveri di cui Gesù ha detto: “Di essi è il regno dei cieli”. E sarà perfetta letizia per tutti. Buon Natale!

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