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Questa guerra è un vincolo cieco.

C’è solo un’eclissi, ad un prezzo che barcolla qualsivoglia dimensione, da tutte le parti: nell’esistenza, nel contante e nell’occasione sprecata di fare qualcosa di migliore con il nostro istante collettivo e le nostre risorse su questo corpo celeste già afflitto.

Sto commentando l’ostilità con l’Iran, ovvero il nostro precipizio contemporaneo. Eppure, infondo vorrei lanciare un avvertimento più generale: la guerra non è solo tragica, c’è molto di più.

Il conflitto sta divenendo un mezzo obsoleto per concludere le incomunicabilità umane. La tecnologia sta alterando il conflitto corazzato in un affaticamento ininterrottamente governato da quella che gli esperti di relazioni internazionali definiscono “guerra asimmetrica”, in altre parole, che potenze più deboli come l’Iran possano, in questo momento, manifestare tanta forza (nucleare) da non poter essere considerati più così deboli, esigendo un potente costo di vittoria anche nei confronti della superpotenza globale più importante del mondo. Inoltre, c’è il cambiamento climatico, che ha prolungato il costo-beneficio di ciascun conflitto; ogni volta che si combatte, ci stiamo in realtà sottraendo ad una battaglia più matura ma fondamentale per l’abitabilità del pianeta.

Non ci dovrebbe essere nemmeno un dibattito sul fatto che numerose delle recenti ostilità statunitensi siano terminate nella miseria, per tutti. I nostri politici proferiscono della guerra come di un’ultima risorsa, eppure questo è solo un escamotage per detenere le apparenze, la realtà è molto più terrificante: bisogna accettare che la macchina da guerra americana, che è sempre più dispendiosa (un costo di pressappoco 740 miliardi di dollari nel 2020) possa acquistare soltanto un’esigua pace. Piuttosto che essere discussa come “un’ultima risorsa”, la guerra non ci destina alcun respiro di sollievo. Un conflitto bellico non può essere tutelato come si tutela l’azione da intraprendere dopo che tutto il resto è venuto meno. La guerra dovrebbe essere pensata come si pensa ad una rovina.

 L’inservibilità della contesa internazionale potrebbe essere ghermita dalla maggior parte dei politici americani in questo momento. Uno dei rari punti scintillanti di Donald Trump come candidato è stata la sua separazione dalla dottrina post 11 settembre di Bush-Cheney che ha raddoppiato l’incurante interventismo militare statunitense. Nella sua repulsione, caro lettore, alla “guerra senza fine”, il cuore di Trump coincideva a quello del pubblico: un’analisi di Pew condotta durante quest’estate ha esibito che la maggior parte degli statunitensi, tra cui la proprio maggior parte dei veterani militari, attualmente confida che le nostre guerre in Afghanistan e In Iraq non valga neppure la pena combatterle. Trump appariva prestare attenzione all’interesse del suo “pubblico” in estate, quando ha bruscamente soppresso una ribellione in opposizione all’Iran come rappresaglia per il suo abbattimento di un drone di sorveglianza americano.

Ma nell’uccidere il leader militare più fondamentale all’Iran, il generale maggiore Qassim Suleimani, Trump ha dischiuso le porte alla guerra. Ora l’Iran si sta vendicando, ed un ciclo di escalation appare probabile, anche se, per ora, Trump si distanzia da ulteriori conflitti. L’aria che si respira nella casa bianca sta incominciando ad assomigliare al 2003 , e  perfino con alcuni degli stessi spunti politici che esistevano a favore di una guerra con l’Iraq . Pur constatando che vorrebbe eludere la guerra, Trump medesimo considera pubblicamente che la guerra contro l’Iran sarebbe una semplice scampagnata (ricorda qualcosa?).

 Si tratta di una dichiarazione tanto disonesta quanto vile: come potrebbe qualcheduno che ha vissuto il pantano dell’Iraq e dell’Afghanistan considerare che la guerra con l’Iran sarà tutt’altro che lunga e brutale? In questi conflitti, perfino l’esercito “impetuoso” statunitense potrebbe incespicare nella cultura locale, nella geografia, nelle rivalità etniche e religiose, e particolarmente, nella determinazione di un nemico radicato e impegnato che potrebbe fondersi dentro e fuori la popolazione locale.

 L’Iran ha pressappoco tre volte il numero di abitanti dell’Iraq di quando lo invasero nel 2003. Possiede, inoltre,  una geografia insidiosa, ed ispeziona un gran numero di forze proxy in tutto il Medio Oriente e anche nelle credibili cellule dormienti in Europa e In America Latina. L’Iran gode anche di una sofisticata operazione di guerra informatica – si crede di essere dietro recenti hack in banche americane e altri obiettivi e di avere diffuso disinformazione e propaganda sui social network di tutto il mondo.

articolo a cura di Francesca Tinelli

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