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Processo Saipem-Algeria, assolto l’ex ad di Eni Scaroni: “Non ci fu corruzione”

I legali: “Sentenza storica”

Tutti assolti. Nessuna corruzione internazionale. Nessuna maxi tangente pagata da Eni al ministro dell’Energia algerino in cambio di concessioni per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi nel paese. A stabilirlo la seconda Corte d’Appello di Milano nel processo Saipem-Algeria. La Corte ha deciso di assolvere tutti gli imputati perché «il fatto non sussiste».

La sentenza ha dunque confermato l’assoluzione decisa in primo grado per l’ex amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni, per l’ex manager di Eni Antonio Vella e per Eni stessa, mentre ha ribaltato la condanna nei confronti di Saipem, una società di cui Eni è la principale azionista, e per diversi suoi manager, tra cui l’ex presidente e amministratore delegato Pietro Tali, l’ex direttore operativo in Algeria Pietro Varone e l’ex direttore finanziario Alessandro Bernini. Sono stati assolti anche i tre imputati algerini, tra cui Farid Bedjaoui, considerato uno degli intermediari della presunta tangente. La Corte ha anche revocato la confisca per equivalente di 197 milioni di dollari (il valore della presunta tangente) a carico di Saipem.

“E’ un teorema inconsistente che hanno portato avanti – hanno spiegato il professor Alberto Alessandri e l’avvocato Francesca Carangelo, legali di Eni – e che ora è stato smontato”. “E’ una sentenza storica”, ha detto l’avvocato Enrico Giarda, legale di Saipem. “E’ la parola fine a questa vicenda complicata. E’ la riconferma della sua assoluzione”. Così l’avvocato Enrico de Castiglione, legale dell’ex ad di Eni Scaroni.

La vicenda legale

La maxi tangente secondo l’accusa sarebbe stata versata da Eni a esponenti del governo algerino in cambio di appalti da 8 miliardi di euro. Al centro del processo anche presunte irregolarità nell’operazione che, nel 2008, portò Eni a comprare la società canadese First Calgary Petroleums Ltd, che come unica attività aveva un giacimento di gas a Menzel, in Algeria, in comproprietà con l’azienda statale algerina Sonatrach. L’operazione costò 923 milioni di dollari canadesi. La tangente da 197 milioni di euro, secondo l’accusa, sarebbe stata pagata da Saipem attraverso contratti con la società Pearl Partners che, però, per gli inquirenti «non aveva effettuato alcun lavoro o consulenza tale da giustificare un pagamento da 197 milioni».

I rappresentanti dell’accusa, il sostituto Pg Massimo Gaballo e il pm Isidoro Palma, avevano chiesto una condanna a 6 anni e 4 mesi per Paolo Scaroni, ex numero uno di Eni e attuale presidente del Milan, per corruzione internazionale. Per il gruppo di San Donato, invece, è stata chiesta una sanzione pecuniaria pari a 900 mila euro a cui si aggiunge una confisca da 198 milioni di dollari in solido con Saipem. I pm hanno anche sollecitato una condanna a 5 anni e 4 mesi per il manager del Cane a Sei Zampe, Antonio Vella.

I magistrati, al termine della loro requisitoria, avevano anche chiesto di confermare le condanne inflitte in primo grado a altri 7 imputati. In particolare, avevano sollecitato una pena di 4 anni e 9 mesi per Pietro Tali e Pietro Varone, rispettivamente ex presidente e amministratore delegato di Saipem ed ex direttore operativo in Algeria e 4 anni e 1 mese per l’ex direttore finanziario prima di Saipem e poi di Eni Alessandro Bernini. Chiesti 5 anni e 5 mesi per Farid Bedjaoui, considerato uno degli intermediari della presunta tangente e per il suo uomo di fiducia Samyr Ouraied, 4 anni e un mese e pena identica anche per a Omar Habour, ritenuto il presunto riciclatore.

Le motivazioni della sentenza d’appello saranno depositate entro novanta giorni.

 

A cura di Giovanni Cioffi

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