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Processo bis per la morte di Stefano Cucchi

La nuova udienza del processo bis

Stefano Cucchi, geometra romano di 32 anni, venne arrestato nella Capitale la sera del 15 ottobre 2009 per possesso di sostanze stupefacenti.

Aveva con sé 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina quando, quella notte, i carabinieri che lo arrestarono, lo portarono nella cella di sicurezza della caserma Appio-Claudio dopo aver perquisito anche casa sua, non trovando nulla.

Nella mattinata successiva, durante il processo per direttissima, il giovane aveva difficoltà a camminare e parlare e mostrava evidenti ematomi agli occhi e al volto, segni di un pestaggio che non erano presenti la sera prima.

Il giudice, nonostante le condizioni di salute del giovane, convalidò l’arresto e fissò una nuova udienza. Nell’attesa, Stefano Cucchi venne rinchiuso nel carcere di Regina Coeli.

Quella stessa sera, le sue condizioni di salute peggiorarono e venne trasportato all’ospedale “Fatebenefratelli” per essere visitato. Il referto fu chiaro: lesioni ed ecchimosi alle gambe e al viso, frattura della mascella, emorragia alla vescica, lesioni al torace e due fratture alla colonna vertebrale.

Stefano rifiutò insistentemente il ricovero e venne rimandato in carcere.

Le condizioni si aggravarono e si rese necessario il ricovero all’ospedale “Sandro Pertini”.

Morì la sera del 22 ottobre, ad una settimana dall’arresto. Solo a quel punto i suoi familiari riuscirono ad ottenere l’autorizzazione per vederlo.

Cominciò così un calvario investigativo e giudiziario.

Oggi, nella nuova udienza del processo, sono state ascoltate varie testimonianze.

“La stanza era buia, si vedeva poco. Cucchi era disteso sulla branda e si copriva con il telo fin sopra il viso. L’ho incalzato con qualche domanda cercando di avvicinarmi e scoprirlo per vedere come stava, anche se lui continuava a coprirsi e diceva: ‘Non mi serve niente’. Sono riuscito solo a prendergli la pressione, con parametri regolari, e a vedere i suoi occhi. Le pupille erano normali ma sotto le palpebre e intorno agli occhi, sullo zigomo, era arrossato. Non era collaborativo e dopo esser stato in quella cella per circa dieci minuti andai via lasciando immutato il codice giallo”. Sono state queste le parole dell’infermiere Francesco Ponzo, che visitò Stefano la stessa sera dell’arresto, in risposta alle domande del pm Giovanni Murarò, nel processo che coinvolge 5 carabinieri, davanti ai giudici della prima Corte d’Assise di Roma.

Si tratta di Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, tutti accusati di omicidio preterintenzionale (si tratta dei militari che la procura indica come coloro che arrestarono Cucchi); in più c’è il maresciallo Roberto Mandolini, che risponde dei reati di calunnia e falso, mentre Vincenzo Nicolardi, insieme a Tedesco è accusato di calunnia nei confronti di tre agenti della penitenziaria, processati per questa vicenda e poi assolti.

Davanti alla prima Corte, parla anche il portantino intervenuto insieme al collega quella notte: “Non sono entrato nella cella ma stavo lì fuori. Cucchi era disteso sulla branda, non era aggressivo nei nostri confronti anche se immagino fosse agitato per la situazione che stava vivendo. Si copriva il viso con la coperta….diceva che non voleva nulla e non voleva parlare”.

Il medico del tribunale, Giovanni Battista Ferri, che visitò Cucchi il 16 ottobre 2009 riferisce: “Disse di avere dolori alla zona sacrale e agli arti inferiori. Camminava da solo, al massimo appoggiandosi con la mano al muro. Era leggermente curvo, scaricava parte del peso sul muro; chiese un farmaco che prendeva abitualmente. Andai nelle celle, mi presentai e gli chiesi cosa potevo fare per lui; la risposta fu che non aveva bisogno di nulla. Lo vidi solo in viso. Nel referto scrissi che aveva lesioni ecchimotiche su entrambi gli occhi e che aveva riferito dolori alla regione sacrale e agli arti inferiori. Secondo me erano lesioni da evento traumatico, e dal dolore sembravano lesioni recenti, ma lui rifiutò di farsi visitare”.

E alla richiesta sul come si fosse procurato quel dolore, la risposta di Ferri è stata “che era caduto dalle scale il giorno precedente, anche se quella risposta non mi convinse. Comunque, le sue condizioni di salute consentivano di andare in carcere; era idoneo per il carcere”.

E’ stato sentito anche un ex detenuto, portato nelle celle di piazzale Clodio lo stesso giorno di Cucchi dopo un arresto per spaccio: “Chiedeva la terapia e il metadone, chiamava le guardie, ma non venivano. E allora qualcuno dalle celle disse di non chiamarle ‘guardie’, ma ‘agenti’. E quando comunicò a chiamarli così, loro arrivarono”.

L’agente della penitenziaria Antonio La Rosa racconta: “Secondo me quel ragazzo aveva avuto qualche problema, secondo la mia esperienza aveva preso qualche schiaffo, qualche pugno. Era evidente che era stato pestato. Vidi per la prima volta Stefano Cucchi alle celle d’uscita del tribunale. Non si reggeva in piedi, camminava male, in viso era parecchio rosso, aveva segni evidenti di occhiaie profonde”.

Ha poi aggiunto: “Cucchi mi chiese se a Regina Coeli ci fosse una palestra perché lui faceva il pugile – ha continua La Rosa – Non lo sapevo, ma era una richiesta strana. E quando gli chiesi cosa gli fosse accaduto, mi rispose che era scivolato dalle scale mentre scappava. Fu un altro detenuto che disse ‘Ma quale caduta dalle scale, lui ha avuto un incontro di boxe&hellip solo che lui era il sacco’. Cucchi non ribattè nulla”.

Un altro agente della penitenziaria, l’assistente capo Luciano Capo, ha focalizzato l’attenzione sull’ispezione ai detenuti: “quella su Cucchi non è stata come le altre, lui alzò solo la maglietta, era tutto rosso e non ritenni opportuno la togliesse. Non fece poi la prevista flessione sulle gambe perché non ce la faceva, gli faceva male”

Il collega Salvatore Mandaio ha detto che, vedendo Cucchi, pensò che era stato picchiato, più che altro per i segni sulla schiena. Era sofferente nella camminata.

La prossima udienza ci sarà l’11 ottobre per l’audizione di altri dieci testimoni dell’accusa.

 

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