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Politica e comunicazione, spot elettorali come film: a scuola dagli Usa

Un viaggio democratico negli spot elettorali per le presidenziali americane dal 1952 al 2016

Dai cartoon giocosi di Ike Eisenhower ai sorrisi di Bill Clinton. Dal discorso sulla sicurezza di Bush alla speranza di Obama. Dalle scarpe bucate di Stevenson alle promesse su occupazione e lavoro di Carter. Fino al Make “America Great Again”/”Let’s Make America Great Again” rispettivamente di Trump (Elezioni 2016) e Ronald Reagan (elezioni 1980). Sono alcune delle suggestioni visive proiettate in anteprima questa mattina presso la sala Koch del Senato della Repubblica in occasione dell’incontro “Politica e Televisione. The Living Room Candidate”, la rassegna degli spot elettorali americani per le elezioni presidenziali dal 1952 al 2016, alla presenza della presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, di Francesco Rutelli ideatore di Videocittà (tra i promotori del progetto) e presidente di ANICA, del giornalista Maurizio Caprara, editorialista del Corriere della Sera, lo storico Mauro Canali e David Schwartz (Chief Curator, Museum of Moving Image, Ny), che ha messo a disposizione per Videocittà la raccolta delle immagini degli spot, e Tomaso Radaelli, presidente di MondoMostre.

La presidente Casellati ha aperto l’incontro elogiando l’iniziativa: «Da Eisenhower a Trump: basterebbe questo per rendere questa raccolta imperdibile, per stimolare curiosità, per spingerci ad una riflessione sul ruolo della comunicazione e del marketing rispetto alla politica e alle scelte degli elettori». Nel tempo – ha aggiunto – sono cambiati i mezzi di informazione e di comunicazione, dagli spot televisivi fino ad arrivare ai social, quello che non è cambiato è la necessita’ della narrazione. L’esigenza di fissare in pochi minuti – se non addirittura in pochi secondi – un posizionamento in grado di creare immedesimazione, fidelizzazione, coinvolgimento. Gli hashtag sono la versione moderna degli slogan, che hanno mantenuto comunque la loro efficacia e forza espressiva». Ed è così che è iniziato il viaggio nella democrazia. Tre raccolte di video da 7 minuti ciascuna,  intervallate dal commento degli esperti in sala: la prima inerente il periodo 1952 – 1964, ossia dagli anni di Eisenhower a quelli di Lindon Johnson, la seconda dal 1968 al 1984 e quindi da Nixon alla seconda vittoria di Reagan e infine la terza da 1988 al 2016, che raccoglie cioè le testimonianze video da Bush senior fino a Trump.

Maurizio Molinari, direttore della Stampa, nel videomessaggio che precedeva la prima proiezione, ha sottolineato l’importanza della grafica e della forte relazione, del gioco, che si instaura tra le parole, i disegni e le scritte. «Le immagini – dice Molinari – hanno un senso, le parole hanno un valore. Ma ciò che conta di più è la decisione di ogni singolo cittadino, destinatario primario di tutti questi messaggi. Questo “viaggio” sarà una splendida occasione per chiunque ami la libertà».

Presa la parola, David Schwartz ha spiegato invece come è nato e in cosa consiste il progetto di conservazione dei video degli spot elettorali dei candidati alla presidenza Usa. Il Living room candidate è l’archivio completo e organizzato di tutti gli spot elettorali trasmessi nelle campagne presidenziali statunitensi dal 1952 a oggi. Rappresenta una costola del Museum of the Moving Images. Navigando sul sito è possibile immergersi nel mondo politico a stelle e strisce, rivedendo e riascoltando i  più celebri speech presidenziali, o addirittura ripercorrendo per intero le campagne elettorali degli ultimi decenni, attraverso una ricerca per personaggi, per data, ma anche per tematiche. A Schwartz, Segue brevemente Radaelli, che ricorda ulteriormente il valore artistico di questi spot, che definisce come «dei veri e propri piccoli film con una regia e budget importanti» e di utilità sociale.

Maurizio Caprara invece, si concentra su alcuni aspetti della comunicazione e dell’efficacia sul pubblico votante: «Stevenson era un politico molto prolisso e quindi si scelse, per far alzare il gradimento nei sondaggi e far recuperare la propria immagine, di far cantare in uno spot elettorale una donna con una voce gradevole e accattivante che coinvolgesse gli elettori. Insomma una tecnica comunicativa nuova, che vedeva al centro il candidato ma non con la sua fisicità. Altra cosa Nixon che fu rappresentato come difensore dei diritti umani, perché in quegli anni era il tema più sentito. Tutte queste strategie sono frutto di numerosissimi studi che avevano l’obiettivo di indagare e individuare le tendenze dell’opinione pubblica».

Il video con Jacqueline Kennedy che parla in spagnolo – aggiunge Caprara – è esemplificativo per ben due aspetti. Primo: utilizzare l’idioma ispanico avrebbe significato raggiungere una fetta più ampia della popolazione, gli elettori ispanici rappresentavano anche all’epoca un segmento importante. Secondo: per la prima volta diventa centrale l’immagine della moglie del candidato alla presidenza. La Kennedy, fu infatti la prima a dotarsi di una press secretary. Usò la propria immagine per dare risalto al proprio marito che, pur godendo di un grande consenso da presidente, vinse le elezioni di misura».

“Sorge spontaneo un parallelismo con i nostri tempo. Come si è potuto notare, pur volendo demolire il proprio avversario e porsi come l’anti establishment – proprio come accade ora – all’epoca i toni erano, seppur alquanto forti, decisamente più rispettosi», commenta lo storico Mauro Canali, consigliere scientifico di Rai Storia.  A seconda del tuo scopo veicoli un messaggio diverso. «L’episodio delle scarpe bucate di Adlai Stevenson – prosegue Canali – ha una duplice chiave di lettura: per i suoi avversari erano la dimostrazione che non sapendosi prendere cura neanche di se stesso non sarebbe stato in grado di governare una nazione intera, assecondando le istanze di ogni cittadino. Per i suoi sostenitori invece era il chiaro esempio di un uomo che batteva la strada fino a rovinarsi le calzature, che era in mezzo alla gente, porta a porta per ascoltare le esigenze della popolazione».

Dopo la proiezione dell’ultima selezione fino all’esperienza Trump, tra il pubblico Andrea Cangini, giornalista ex direttore di Qn e attuale senatore, ricordando la vicina data delle elezioni di Midterm, che metteranno a dura prova il Trumpismo, ha ribadito l’importanza della comunicazione politica. «La scelta politica – spiega Cangini – non è razionale. Oggi si tende a suggestionare piuttosto che rivolgersi ai sentimenti: la vanità ha un ruolo attivo. Nel nostro tempo il politico è guidato dal narcisismo e dall’egoismo, impronta tutta la sua attività politica sulla propaganda retorica che non ha un’idea di futuro ed è un eterno presente: è la gabbia che imbriglierà la politica. Bisognerebbe ricordarsi piuttosto che il consenso è un mezzo e non un fine. La comunicazione stessa veicola messaggi e non deve essere fine a se stessa».

Nelle conclusioni Mauro Canali  ha ricordato come si siano modificati negli anni i bersagli della propaganda politica: «Negli anni ’80 fa irruzione la questione economica, non si parlerà più solo di lotta al comunismo e prestigio della nazione».

Maurizio Caprara invece chiude con un paragone tra la politica Usa e quella italiana: «Analizzando quello che è il concetto di personalizzazione della politica, appare chiara la differenza tra i due mondi. Prendendo ad esempio due tematiche al centro del dibatto sociale: l’appartenenza alle forze armate e il debito pubblico. Al contrario di quanto accade nel Bel Paese, negli Stati Uniti essere stati militari è motivo di orgoglio, da spendere anche in campagna elettorale. In merito al debito pubblico occorre ricordare come nel corso delle recenti politiche in Italia non si sia parlato affatto del tema. In America è obbligatorio, quasi doveroso parlarne. Non sono soldi di nessuno, piuttosto li pagheranno i tuoi figli».

«Ecco quindi il fine ultimo degli spot: afferrare i sentimenti dell’elettorato per condurlo nella direzione in cui si vuole portare», conclude Caprara.

 

Il programma di proiezione degli spot nel corso della settimana

Gli spot elettorali saranno proiettati nell’ambito del programma dei 114 eventi complessivi di Videocitta’ presso la sede dell’Ex Dogana dalle ore 21 alle 23 in tre diversi appuntamenti (24, 25 e 26 ottobre). Il 24 ottobre si inizierà con gli spot elettorali americani provenienti dal Museum Of Moving Image di New York riguardanti il periodo che va da 1952 al 1964, da Eisenhower agli anni di Lindon Johnson. Seguirà dibattito con Antonio Di Bella (direttore di Rainews 24), lo storico Mauro Canali, Edoardo Novelli (professore associato di comunicazione politica all’ Uniroma3), e Clara Tosi Pamphili (responsabile del Progetto Moda di Videocittà). La seconda serata, il 25 ottobre, avrà come protagonista invece il periodo che va dal 1968 al 1984, da Nixon alla seconda vittoria di Reagan. Dopo le proiezioni si terrà un dibattito a cui parteciperanno Mario Calabresi (direttore La Repubblica) e Clara Tosi Pamphili (responsabile del Progetto Moda di Videocittà). Infine, l’ultimo appuntamento si terrà il 26 ottobre è interesserà il periodo dal 1988 al 2016, da Bush senior a Trump. Alla tavola rotonda interverranno il giornalista Fernando Masullo, Maurizio Caprara (editorialista del Corriere della Sera) e  Clara Tosi Pamphili, responsabile del Progetto Moda di Videocittà)

 

A cura di Giovanni Cioffi

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