ITALIA

dall'

Solo notizie convalidate
[wpdts-weekday-name] [wpdts-date]

EDIZIONI REGIONALI

Solo notizie convalidate

EDIZIONI REGIONALI

Parcheggi a pagamento: il titolare deve risarcire la vittima di furto

Frequentemente gli automobilisti decidono di lasciare la propria automobile in parcheggi a pagamento custoditi, ma spesso si trovano di fronte a cartelli che riportano la scritta: “Non si risponde di eventuali furti”.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11221 del 9 maggio 2017  ha chiarito che l’automobilista che subisce il furto del veicolo lasciato in sosta nel parcheggio a pagamento ha diritto al risarcimento del danno, anche nel caso in cui il titolare dimostri di aver predisposto una vigilanza adeguata. Nel caso di specie, i giudici della Cassazione hanno rigettato il ricorso presentato dal titolare di un’autorimessa, confermando il diritto al risarcimento di un automobilista, vittima di un furto del veicolo lasciato in sosta nel garage a pagamento. I giudici hanno precisato che nel caso di perdita della cosa depositata a seguito di un furto, il depositario non si libera della responsabilità provando di avere usato la diligenza del buon padre di famiglia, e cioè di avere disposto un adeguato servizio di vigilanza, ma deve provare che l’inadempimento contrattuale sia derivato da causa a lui non imputabile.

Per evitare il pagamento del risarcimento del danno, il titolare dovrà dimostrare che l’inadempimento sia derivato da una causa  non derivante in alcun modo dalla sua condotta.

Il testo della sentenza

FATTI DI CAUSA.

1.Nel 2007, M. M. convenne in giudizio R. D. L. nella qualità di titolare della ditta individuale E. G., per sentirla dichiarare esclusiva responsabile del furto dell’autovettura di sua proprietà parcheggiata presso il suddetto garage, in Napoli, e sottratta da due malviventi che si erano nello stesso introdotti, e conseguentemente sentirla condannare al risarcimento del danno per la sottrazione del veicolo e per il danno psico-fisico subito. La convenuta costituitasi eccepiva l’infondatezza e comunque chiedeva la chiamata in causa della propria assicuratrice A. A. s.p.a. per essere manlevata in caso di soccombenza. Il Tribunale di Napoli rigettò la domanda qualificando il contratto in termini di deposito, con conseguente applicabilità della disciplina di cui all’art. 1766 e ss. c.c., e ritenendo non fondate le pretese dell’attore in mancanza di responsabilità della convenuta per la perdita della cosa oggetto della custodia, in conseguenza di un fatto a lei non imputabile ex art. 1780 c.c., nel caso di specie, integrato dalla rapina subita dal custode del garage.

2.La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 1902 del 30 aprile 2014. La Corte ha condannato la D. L. al risarcimento del danno in favore di M. liquidandolo in euro 4.000,00. Ha ritenuto il giudice del merito non assolto il rispetto del canone della diligenza nella esecuzione del contratto. Infatti, il depositario avrebbe dovuto provare non solo di aver posto in essere tutte le attività protettive richieste in base all’ordinaria diligenza di cui agli artt. 1176, 1177 […] ma, altresì lo sforzo particolare adeguato a soddisfare l’interesse creditorio in ragione delle circostanze concrete del caso specifico. E così non è stato

3.Avverso tale pronunzia, R. D. L. propone ricorso per cassazione sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria.

3.1 Resiste con controricorso, illustrato da memoria, A.A.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 1218 c.c. (responsabilità del debitore), 1780 c.c. (perdita non imputabile della detenzione, 112 c.p.c. (corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato), 113 c.p.c. (pronuncia secondo diritto), 115 c.p.c. (disponibilità delle prove), 163, comma terzo, n. 4 c.p.c., 164 comma quarto c.p.c., e 342 c.p.c. (forma dell’appello), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3, 4 e 5 c.p.c.”. Lamenta che la Corte territoriale avrebbe errato in quanto il M. non ha dedotto con l’appello reali motivi specifici di impugnazione, tali da incrinare e confutare il fondamento logico giuridico delle statuizioni del Tribunale, ma ha contrapposto una propria soggettiva valutazione delle emergenze processuali, sostenendo pretese violazioni di legge inesistenti per accreditare una tesi arbitraria e non aderente alla realtà storica dei fatti accaduti.

4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 1780 c.c. ess. E 112 c.p.c. da parte della Corte di Appello di Napoli, in quanto, pur avendo rigettato il terzo motivo d’impugnazione, omettendo completamente l’esame dei fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in cui si incentrava la censura stessa, non ha considerato la eventuale omissione dell’obbligo di immediata denunzia della perdita della detenzione, non era neppure possibile sostituire alla obbligazione di restituire la res depositata per la perdita non imputabile al depositario della detenzione dell’autovettura in questione, quella di risarcimento del danno a norma dell’art. 1780 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c.”. La ricorrente sostiene che la Corte d’Appello, non avendo accolto e neppure esaminato il terzo motivo di appello – con il quale il M. aveva riproposto la causa petendi della responsabilità risarcitoria dell’appellata, per non aver costei immediatamente dato avviso al depositante della perdita della detenzione della autovettura,- non avrebbe potuto neppure condannare la depositarla D. L. al risarcimento dei danni, peraltro equivalenti al valore dell’autovettura sottratta, atteso che la originaria domanda dell’attore era fondata su una duplice inscindibile causa petendi posta a fondamento della responsabilità risarcitoria.

4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la “violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 1218 c.c. (responsabilità del debitore), 1220 c.c. (offerta non formale); 1175 c.c. (comportamento secondo correttezza), 1375 c.c. (esecuzione di buona fede), 1180 c.c. (adempimento del terzo), 1207 c.c. (effetti dela mora del creditore), 1223 c.c., 1224 c.c., 112 c.p.c., 113 c.p.c. e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3,4 e 5, c.p.c.. per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti; in particolare, non avendo la Corte d’Appello, nell’accertamento del quantum debeatur e, nella liquidazione dei danni, esaminato e considerato, anche e soprattutto agli effetti della mora, la offerta sia pure non formale della prestazione” […]. Si duole che il giudice d’appello non ha adeguatamente considerato l’atteggiamento della D. L. tenuto nella fase stragiudiziale.

5.Il ricorso è inammissibile.

5.1. I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono tutti inammissibili. Sono inammissibili sia perchè prospettano, in maniera generica ed attraverso una superficiale esposizione della vicenda, una serie di questioni di fatto tendenti ad ottenere dalla Corte di legittimità una nuova e diversa valutazione del merito della controversia sia perché privi del requisito previsto dall’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c.. E’ principio consolidato di questa Corte che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011). Ed in ogni caso nell’ipotesi di perdita della cosa depositata in seguito a furto, il depositario non si libera della responsabilità ex recepto provando di avere usato nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall’art. 1768 cod. civ., e cioè di avere disposto un adeguato servizio di vigilanza, ma deve provare a mente dell’art. 1218 cod. civ. che l’inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile. Il relativo accertamento costituisce un apprezzamento di fatto, come tale insuscettibile di esame in sede di legittimità, se debitamente motivato (Cass. n. 5736/2009; Cass. 26353/2013). Nel caso di specie tale accertamento è stato fatto (cfr. pag. 5 sentenza C.A.)

6.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Facebook