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Nuova via della seta: rischi ed opportunità del memorandum d’intesa tra Italia e Cina

La nuova via della seta (conosciuta anche col termine inglese belt and road initiative) è un’imponente iniziativa strategica della Repubblica popolare cinese, annunciata per la prima volta nel 2013 dal presidente cinise Xi Jinping, per il miglioramento dei suoi collegamenti commerciali e infrastrutturali con i paesi nell’Euroasia e per edificare una nuova architettura economico-commerciale; le aree interessate sono la Cina, l’Asia centrale, l’Asia settentrionale, l’Asia occidentale e i paesi e le regioni lungo l’Oceano Indiano e il Mediterraneo. Essa potrebbe arrivare ad interessare paesi che riuniscono il 65% della popolazione e il 40% del PIL mondiale. Per tale progetto sono già stati stanziati oltre 100 miliardi di dollari. La Cina di Xi Jinping ha fatto della Belt and Road Initiative la cinghia di trasmissione di una nuova strategia globale con cui l’Impero di Mezzo vuole ampliare ed aumentare il benessere della sua popolazione e il suo ruolo in ambito internazionale. Proprio a tal motivo, questa iniziativa ha allarmato molti paesi, iniziando dagli USA; secondo il Financial Times, essa comprometterebbe la pressione degli Stati Uniti nei confronti della Cina per il commercio e rischierebbe di danneggiare il tentativo di Bruxelles di trovare un percorso comune nell’UE per la gestione degli investimenti cinesi. Per Washington l’obiettivo di Pechino non sarebbe economico ma geopolitico, per sovvertire l’ordine costituito. L’Unione Europea si focalizza invece sulle questioni legali: i Paesi comunitari temono che la Cina possa egemonizzare gli appalti infrastrutturali frenando la libera concorrenza, chiedendo a Pechino maggiore trasparenza.

 

La nuova Via della Seta voluta da Pechino per connettere Asia, Europa e Africa, ha sollevato notevoli polemiche visto che l’Italia sta per diventare il primo paese del G7 ad appoggiare formalmente la spinta all’investimento globale della Cina. Per quanto riguarda il punto di vista italiano, il primo ministro Giuseppe Conte ha assicurato che l’iniziativa cinese “è una scelta di natura squisitamente economico commerciale, perfettamente compatibile con la nostra collocazione nell’Alleanza atlantica e nel Sistema integrato europeo”. Rassicurazioni sono arrivate anche dal Quirinale che ritiene il memorandum “molto meno pregnante di documenti analoghi stipulati da altri Paesi europei”. L’Italia potrebbe svolgere quel ruolo di cooperazione e allo stesso tempo di modellamento del progetto cinese, rendendolo più digeribile sul contesto occidentale.  Gli ambiti di cooperazione previsti tra i due paesi riguardano settori come infrastrutture, energia, aviazione civile, e-commerce; al momento sembra escluso il settore delle telecomunicazoni, considerato strategico per la sicurezza nazionale.

 

Un ruolo importante sarebbe ricoperto dal porto di Trieste, con possibilità anche per il porto di Genova e di Venezia; a tal proposito il premier ha assicurato che non esiste il rischio di trasformare i porti italiani in una colonia cinese, come è accaduto qualche anno fa in Grecia con il porto del Pireo. Secondo il sottosegretario Michele Geraci la Cina potrebbe risolvere molti dei problemi dell’Italia nel prossimo decennio, attraverso un maggiore impatto sulla crescita che calmerebbe i timori del mercato sul debito italiano e coprirebbe una caduta degli investimenti esteri; potrebbe anche contribuire a contenere il flusso migratorio illegale dall’Africa e sostenere le questioni di sicurezza in Italia. Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, apre positivamente ad accordi purchè non siano a senso unico, considerandoli un’opportunità “se si punta su un’industria forte che va a vendere in Cina e non si trasforma l’Europa in un continente di consumatori che comprano solo prodotti cinesi”.  Sabato è prevista la firma tra i presidenti dei due paesi a Roma  e veranno messi nero su bianco i dettagli e il perimetro d’azione entro cui si dipanerà l’accordo.

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