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‘Ndrangheta: San Michele, per bancarotta cade accusa mafia

 

E’ imputato per ‘ndrangheta nel processo San Michele, ma per la bancarotta delle sue aziende l’aggravante mafiosa è caduta. Il caso è quello di Vincenzo Donato, che oggi è stato discusso a Torino in corte d’appello dal suo avvocato difensore, Davide Diana, secondo il quale “lo Stato ha lasciato fallire le società”.

Il processo San Michele, frutto di un’indagine dei carabinieri sfociata nel 2014 in una serie di arresti, si riferisce alla presenza della criminalità organizzata nel Torinese e ai tentativi di infiltrazione delle cosche negli appalti pubblici (comprese le opere per il Tav in Valle di Susa).
Le nove società del settore dei lavori edili riconducibili a Donato furono messe sotto sequestro e in seguito confiscate; nel 2016 vennero dichiarate fallite. L’uomo è stato poi condannato in un processo parallelo a tre anni e mezzo di carcere, ma senza le aggravanti di mafia. “E’ logico – ha detto Diana – che uno Stato che sequestra un bene per restituirlo alla collettività lo lasci fallire nel giro di un paio d’anni per tutelare esclusivamente i creditori?”. L’accusa di bancarotta è legata al fatto che Donato, all’epoca in cui si occupava delle aziende, avrebbe finanziato società che non potevano restituire i fondi.
L’avvocato sottolinea che le aggravanti mafiose non sono state applicate su richiesta della stessa procura.

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