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Muore Filippo Peschiera, l’unica vittima che intervistò le Br che gli sparavano

 

 Se ne è andato anche Filippo Peschiera, una delle menti più acute e spesso controcorrente della Dc degli anni d’oro, dalla Resistenza armata fino al crack di Tangentopoli. Il professore si è spento a 88 anni nella sua casa di Quarto, come addormentandosi. Se ne va anche lui nell’estate-primavera che ha portato via come in un soffio tanti della classe dirigente scudocrociata, Giancarlo Mori, Lucio Parodi, Giovanni Bonelli, Ugo Signorini, uno dopo l’altro, fino a Peschiera, che era non solo una figura di spicco della Dc ligure, ma docente importante all’Università Statale di Milano, fondatore a Genova della Scuola di Formazione, una vera fucina di giovani per molte professioni sociali, politiche e imprenditoriali, con la famosa sede in via Trento, dove il suo asistente era Vittorio Travberso, altra figura chiave della Dc, scomparso pochi anni fa.

Qui negli anni di piombo le Br fecero irruzione per gambizzarlo, lo fotografarono sotto un cartello che inneggiava alla guerra armata. Il professore, che aveva il suo sangue freddo, apostrofò pesantemente i terroristi, chiedendo chi fossero, cosa volessero, cosa avevano scritto sul cartello e da questo colloquio, che terminò con quattro colpi di pistola alle sue gambe, ricavò l’impressione del vuoto che era nella testa di quei ragazzi.

Raccontò tante volte quell’episodio, prevedendo che quell’ondata di terrore che stava facendo tremare la politica e la società italiana non sarebbe durata a lungo se i “guerrieri” erano quelli. Come spesso accadeva, aveva ragione lui.

Peschiera nella Dc, dopo gli anni dell’adolescenza e della militanza in erba durante la guerra di liberazione nella quale dal ragazzo giovanissimo si distinse ( era della generazione di Baget Bozzo con il quale era severissimo, di Gianni Dagnino, di Bruno Orsini), assunse sempre una posizione non strettamnente ortodossa. Era molto libero e separato dalle correnti e dalle lotte di potere. Era uno studioso, un intellettuale, grande studioso delle relazioni sociali, sempre impegnato a scrivere libri, a approfondire le grandi tematiche internazionali. Coltivava rapporti stretti con tante teste d’uovo dell’intellighentia italiana, per esempio con Cesare Annibaldi, uno dei “pensatori” della Fiat.

Quando De Mita fu calato a Genova per fare il capolista alle elezioni al posto di Paolo Emilio Taviani, passato al Senato, scelse Peschiera per rivoluzionare il partito, che era nelle mani di Gianni Bonelli, il fedelissimo tavianeo. E Peschiera assolse quel ruolo non senza tensione nella Balena Bianca. Spalleggiato da Alberto Gagliardi, “grande comunicatore”, il professore portò una ventata di novità nello Scudocrociato, mobilitando gruppi di giovani, sopratutto imprenditori e futuri pubblici amministratori, che poi divennero figure di rilievo come Sebastiano Gattorno, Roberto Suriani, Carlo De Romedis, Edmondo Forlani, Giovanni Bagnara.

Non tutti nella grande Dc di allora erano, ovviamente, d’accordo con il nuovo corso, che segnava una fase diversa, con rapporti più stretti con la sinistra, sopratutto con il Pci allora egemone a Genova e in Liguria, e con il Psi, spesso alleato nelle amministrazioni liguri.

Quando la scena cambiò e i partiti tradizionali, compresa la Dc, sparirono, Peschiera si dedicò completamente a studiare e scrivere. Se lo incontravi, con grande entusiasmo ti raccontava dell’ultimo libro che stava preparando. La morte lo ha fermato mentre lavorava a un libro sul papa Paolo VI , Giovanni Montini, noto per le sue aperture sociali, il tema preferito di Filippo Peschiera, l’oggetto del suo lavoro da pontiere tra la politica e l’impresa.

Era leggendariamente distratto e per nulla attaccato agli aspetti materiali della vita. Negli anni Ottanta circolava con un’automobile tanto scassata da non avere in funzione la marcia indietro. E quindi per i suoi seguaci c’era sempre il problema di “girare” la macchina di “Pippo”.

Una delle ultime sue comparse in pubblico è stata nello scorso inverno, quando nella chiesa di Santo Stefano, durante una cerimonia di ricorrenza del terrorismo, aveva rievocato la sua gambizzazione. Lui, l’unico che guardò fisso negli occhi i brigatisti che gli sparavano.

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