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Morti a causa del batterio killer in sala operatoria. Pronta un’azione collettiva a tutela delle vittime.

Lo “Sportello dei Diritti” nel 2017 aveva rilanciato l’allerta per le macchine cuore-polmone potenzialmente infette già in fabbrica. La contaminazione del Mycobacterium chimaera, si confermerebbe causa di infezioni potenzialmente letali nelle operazioni a cuore aperto. 

 La notizia delle indagini seguite alla morte di alcuni pazienti in Veneto a causa delle complicazioni derivanti dal batterio Mycobacterium chimaera che contaminerebbe le macchine cuore-polmone utilizzate nelle operazioni che riguardano il cuore, è una cronaca praticamente annunciata. 

Alcuni macchinari sarebbero stati  contaminati già nel processo di fabbricazione risultando essere, in via del tutto verosimile, la fonte principale di infezioni che si manifestano anche a distanza di mesi o anni da un intervento chirurgico a cuore aperto.

Tali ipotesi erano state suffragate da uno studio internazionale pubblicato da “The Lancet Infectious Diseases” che avevamo ritenuto utile portare all’attenzione dell’opinione pubblica in tempi non sospetti e prima dell’inchiesta partita da Vicenza.

Il Mycobacterium chimaera, infatti, è diffuso in natura e presente soprattutto nell’acqua potabile.

È fondamentalmente innocuo, ma durante le operazioni a cuore aperto, si trasmette attraverso dispositivi tecnici contaminati per la circolazione extracorporea (CEC), che sostituiscono temporaneamente le funzioni cardio-polmonari e regolano la temperatura del sangue durante l’intervento.

Anche se le infezioni da questo micobatterio sono abbastanza rare (un paziente su 10.000), gli scienziati avevano già avvertito di non abbassare la guardia. Già nel 2013, ricercatori di Zurigo avevano identificato l’infezione da Mycobacterium chimaera, e le misure di prevenzione erano state rafforzate.

Finora non si sapeva però come l’agente patogeno arrivasse nei cosiddetti apparecchi per ipotermia. La risposta è arrivata da una equipe internazionale che ha effettuato un’analisi di 250 campioni di sangue di 21 pazienti che avevano avuto un’infezione postoperatoria in Svizzera, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, Australia e Stati Uniti.

I ricercatori hanno poi paragonato le sequenze genetiche dei germi presenti nei malati con quelle dei batteri trovati nei macchinari e nell’aria delle sale operatorie, nonché nei centri di produzione delle stesse apparecchiature.

La notizia di poche ore fanon fa che confermare quanto già reso noto alla comunità scientifica, con ciò ponendosi il legittimo interrogativo di quante morti potevano essere evitate se si fosse intervenuti prima.

Oggi non resta che agire nelle sedi competenti per tutelare tutte quelle vittime e i loro familiari che hanno subito gravi perdite che, in tutta probabilità ed in molti casi, potevano essere evitate.

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