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Le scuole restano chiuse La sfida: prof in classe per le lezioni a distanza

Milano Scuole ancora chiuse in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Aperte da domani in Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto-Adige, Campania, Marche e Liguria (ma non a Savona) e da mercoledì in Piemonte. E per una volta, tutti sono più o meno d’accordo.

Il decreto sarà pubblicato oggi e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha aspettato fino all’ultimo, ieri, sottolineando come il comitato tecnico scientifico fosse riunito “per le ultime valutazioni”, e ancora alle 16 smentiva di aver formalizzato una decisione, ma ha confermato la distinzione fra le tre Regioni più esposte e le altre. “Non mi fate anticipare nulla – ha detto lasciando la sede della protezione Civile – ma ragionevolmente per quanto riguarda le tre regioni interessate, chiaramente adotteremo misure di prudenza che si distingueranno dalla stragrande maggioranza” delle altre. Pubblicità

Oltre un’ora prima, il governatore lombardo Attilio Fontana aveva già dato conferma della chiusura, preannunciando il via libera governativo, anche per dar modo alle famiglie di organizzarsi, facendo scendere “in campo” baby sitter e nonni. D’altra parte già venerdì la Lombardia aveva annunciato di aver chiesto al governo la proroga delle misure contenute nell’ordinanza firmata da Fontana col ministro della Salute Roberto Speranza, con qualche cauta apertura.

Il nuovo stop è stato accolto con un certo generalizzato favore, anche dalle famiglie, e non solo per paura. La decisione è stata definita “saggia” dalla Federazione Italiana Medici Pediatri, Paolo Biasci. “Molto contento” si è detto anche Massimo Vajani presidente dell’Ordine dei medici di Lodi. “Non è il momento di abbassare la guardia o pensare di aver chiuso il problema”, aveva spiegato già venerdì il professore Massimo Galli, direttore di Malattie infettive del “Sacco” di Milano.

Troppo critica la situazione degli ospedali di Lodi e Cremona, troppo delicata la nuova impennata dei contagi nel Lodigiano: gli esperti erano praticamente concordi nel consigliare una nuova settimana di precauzioni drastiche, anche a rischio di frenare ulteriormente l’economia, l’altro aspetto del problema che nessuno, a Milano, vuole trascurare. L’ottimismo diffuso di metà settimana, con le ipotesi di aperture, magari parziali o a scacchiera – due giorni fa aveva già lasciato il posto alla consapevolezza che fosse necessario tenere ancora “rallentata” la vita sociale, e quindi chiuse le scuole.

Anzi, aperte ma con lezioni sospese, perché uno dei piccoli spiragli aperti – per esempio – a Palazzo Lombardia, è stato questo: edifici aperti, magari per le programmate attività manutentive, e ragazzi a casa, ma docenti a scuola, eventualmente per guidarli in un lavoro nuovo, all’insegna dell’e-learning e dello smart learning, nel caso in cui gli istituti fossero abbastanza attrezzati per questa tele-didattica. Obiettivo: non fermare del tutto le lezioni. E i dirigenti scolastici hanno dato indicazione di “far sentire la presenza della scuola” agli studenti a casa e alle loro famiglie. Intanto, nell’ipotesi di uno stop prolungato delle lezioni, il governo ha inserito nel decreto legge approvato venerdì dal Consiglio dei ministri una norma del ministero dell’istruzione che deroga al limite dei 200 giorni minimi per la validità dell’anno scolastico.

Chiuse anche le università. Alcune avevano già comunicato lo stop fino al 7, e i rettori lombardi hanno dato disposizioni per la didattica a distanza o – nel caso di Pavia, che contende a Bologna il primato di ateneo più antico d’Italia – per eseguire a distanza anche gli esami, “via Skype o altro mezzo audio-visivo indicato dal docente responsabile”.

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