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La Brexit dei due deal: fuori uno, dentro l’altro

Da una parte l’Europa, non disposta a rinegoziare un nuovo trattato per la Brexit. Dall’altra gli Stati Uniti, che rilanciano sul tavolo la proposta di un “trade deal” USA-UK. In mezzo il Regno Unito e l’incombente spettro della Brexit.

“L’accordo di recesso è il migliore e unico accordo possibile, in linea con gli orientamenti del Consiglio europeo”, ha ribadito il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker giovedì, dopo aver parlato di Brexit con il neoeletto premier britannico Boris Johnson. Ma si sbaglia. L’accordo negoziato tra UE e UK per delineare i termini della Brexit non è più l’unica opzione per il Regno Unito. A entrare nella partita a gamba tesa è il Presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump, che ha parlato di incontri già in corso per un trattato commerciale bilaterale “molto consistente” tra USA e UK dopo la Brexit. La notizia è stata data questa mattina dalla BBC. Boris Johnson si è sempre espresso a favore di una no-deal Brexit, piuttosto che di un no-Brexit o di una Brexit in base all’accordo negoziato con l’Unione dall’uscente premier Theresa May, ma ora si paventa una terza carta, direttamente da oltreoceano: una other-deal Brexit, se così possiamo chiamarla, cioè una Brexit indorata dalla promessa che i danni all’economia britannica causati dal divorzio con l’Unione saranno compensati da nuovi rapporti commerciali con gli Stati Uniti.

Solo qualche settimana fa, poco prima della sua visita istituzionale in Gran Bretagna, Donald Trump aveva dato il suo endorsement a un’uscita senza accordo, se i britannici non fossero riusciti a negoziare nuovi termini. Ora però il presidente americano ri-tende agli inglesi un’ulteriore mano, un unguento per rendere la supposta Brexit meno amara. Non tanto per il Primo Ministro britannico, quanto per l’opinione pubblica, perché anche coloro che vedono l’uscita di buon occhio non possono che avere delle perplessità su quali saranno gli effetti di un no-deal. Non sono stati ancora diffusi i dettagli di questo accordo commerciale post-Brexit, ma secondo il Tycoon lo US-UK deal aumenterebbe di “tre, quattro, cinque volte” gli attuali scambi tra i due paesi, prima frenati dall’adesione del Regno Unito all’Unione Europea. In quanto stato membro, infatti, al paese guidato da Johnson non sarebbe permesso negoziare accordi commerciali bilaterali.  Insomma, in questo divorzio già complesso, ci si mette anche l’amante, con moine e promesse allettanti. I due leader, che oltre ai piani per il futuro condividono lo stesso curioso taglio di capelli, sarebbero disposti a cominciare i negoziati il prima possibile, anche se non potranno formalmente iniziare finché il Regno Unito non avrà ufficialmente detto addio all’unione doganale del vecchio continente.

UE-UK-USA, gli acronimi del litigio

Doppia porta in faccia all’Unione Europea, che da padrone dei negoziati che dettava le regole rischia di restare fuori da una torta su cui aveva già messo gli occhi. Una bozza di trattato transatlantico tra Unione Europea e Stati Uniti già esisteva dal 2013, quando con gli USA guidati da Barack Obama si cominciò a parlare di TTIP (Partenariato transatlantico su commercio e investimenti). Quando nel 2016 alla Casa Bianca arrivò Donald Trump, i negoziati si interruppero, ma ad aprile di quest’anno il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato la ripresa dei negoziati per “eliminare le tariffe sui prodotti industriali”. Il TTIP originario aveva uno scopo più ampio; ora, però, il Consiglio ha preso atto del fatto che “Gli sforzi precedenti con gli Stati Uniti hanno dimostrato difficoltà a negoziare reciprocamente impegni accettabili in settori identificati come prioritari dall’Unione. È quindi appropriato perseguire con gli Stati Uniti un accordo più limitato relativo all’eliminazione delle tariffe sui soli prodotti industriali ed esclusione dei prodotti agricoli”. Un passo indietro che potrebbe essere d’esempio anche al Regno Unito, che nel marzo di quest’anno aveva già anticipato il rifiuto ad abbassare gli standard sul cibo solo per assicurarsi un accordo post-Brexit con gli Stati Uniti.

I rapporti commerciali tra UK e USA occupano un posto importante nei bilanci del Regno Unito. La BBC riporta che il commercio in entrata e uscita tra Stati Uniti e Regno Unito valevano 183.2 miliardi di sterline nel 2017, cioè il 14% del commercio totale del paese europeo. Per l’anno successivo, il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America stimava la cifra a 211,9 miliardi di sterline. Gli Stati Uniti restano, secondo gli ultimi dati disponibili forniti dal Dipartimento inglese per il Commercio Internazionale, il primo partner commerciale per lo UK, ancora prima della Germania che occupa il secondo posto. L’occhiolino di Mr Trump a Mr Johnson potrebbe lasciare l’UE definitivamente alla porta dei negoziati, a bussare per il dolcetto o scherzetto di Halloween, quando la Brexit sarà finalmente realtà: nessuno scherzetto però, è tutto vero. E per nulla dolce.

Un accordo post-Brexit tra USA e UK è davvero allettante?

Già durante la campagna referendaria del 2016, uno dei cavalli di battaglia per il leave era che i benefit dell’unione doganale potevano essere sostituiti da un accordo commerciale vantaggioso con i cugini a stelle e strisce. In quello stesso anno Barack Obama diceva che una simile intesa avrebbe richiesto almeno dieci anni di trattative. Già nel 2018 il governo inglese iniziò a sondare il terreno per accordi bilaterali dopo il divorzio con gli Stati Uniti, l’Australia e la Nuova Zelanda. Già allora il Trade Justice Movement sollevò alcuni dubbi e mise per iscritto alcune linee invalicabili. Il TJM è una rete che comprende settanta tra organizzazioni della società civile, ONG, sindacati, gruppi di interesse e gruppi religiosi, oltre a milioni di membri individuali, che collaborano per assicurare giustizia commerciale e attenzione all’ambiente e alle popolazioni.

Il TJM spiega che gli obiettivi degli Stati Uniti per un US-UK deal sono già stati chiariti, e alcuni di questi “avrebbero un effetto profondamente negativo sulla salute, il welfare e l’ambiente” del Regno Unito. Si riproporrebbero, ad esempio, alcuni dei problemi già emersi durante i negoziati per il TTIP, e cioè i diversi standard sul cibo. Non è certo un segreto, spiega il TJM, che per gli Stati Uniti “le regole UE sulla sicurezza chimica (il regolamento REACH), l’etichettatura nutrizionale, gli ormoni negli cibi, gli OGM, la qualità del latte e la sicurezza della carne” sono “in tutto o in parte restrizioni commerciali da “abbattere””. Anche gli standard ambientali sono diversi oltreoceano, altro motivo che ha costretto il Consiglio UE a limitare lo scopo di un trattato commerciale, dopo che gli Stati Uniti avevano annunciato l’intenzione di ritirarsi dall’Accordo di Parigi. “L’Unione cerca di negoziare un approfondito e completo libero trattato commerciale solo con le Parti di tale Accordo”, spiegava il Consiglio, e di qui la decisione di limitare le trattative ai beni industriali.

Oltre alla sostanza, sono anche le modalità a preoccupare la fetta di società civile riunita nel TJM. Tanto per cominciare, gli Stati Uniti hanno già chiarito che un trattato bilaterale post-Brexit avrebbe tra le condizioni l’allineamento del Regno Unito ad alcuni degli obiettivi geopolitici dell’amministrazione Trump. Si presenta, poi, un problema di deficit democratico: in che modo si consulterà la popolazione su questo accordo US-UK? “Gli accordi commerciali hanno un vasto impatto su tutti i settori di politica pubblica, ma attualmente i parlamentari britannici non hanno praticamente voce in capitolo sul contenuto dei patti commerciali e spesso non sono in grado di modificarli o respingerli”, spiegano gli attivisti del Trade Justice Movement. “Ciò è dovuto a una convenzione arcaica che conferisce al governo il potere di avviare i negoziati, condurli in segreto e firmarli senza alcun contributo da parte del Parlamento. Non è nemmeno necessario che i parlamentari discutano o votino un accordo commerciale prima che venga ratificato”. Per quanto la Brexit sia sempre più vicina, la fine dei problemi ancora non si vede all’orizzonte. Anzi, il vero incubo potrebbe iniziare proprio la notte di Halloween.

 

Di A.C.

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