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L’integrazione europea nella giurisprudenza della Corte di Giustizia: la sentenza YVONNE VAN DUYN contro HOME OFFICE

La sentenza YVONNE VAN DUYN contro HOME OFFICE (Ministero dell’Interno) nasce dalla richiesta della Corte d’Appello inglese di interpretare l’art. 48 Trattato CEE e l’art. 3 direttiva 64/221/CEE. Maria Francesca Ciriello, Dottoressa in Diritto e amministrazione pubblica, ricostruisce per noi il contenuto di questa importante sentenza.

Cosa era successo?

Una cittadina olandese aveva chiesto di entrare nel Regno Unito per iniziare a lavorare come segretaria per la Church of Scientology (chiesa scientista). L’Home Office ha respinto questa domanda perché il Governo britannico aveva ritenuto socialmente pericolose le attività svolte da questa organizzazione.

Cosa si chiede alla Corte di Giustizia? (Prima questione)

  • L’art. 48 del Trattato CEE attribuisce direttamente dei diritti ai cittadini europei? E i giudici nazionali devono tutelare questi diritti che “derivano” dal diritto dell’UE?
  • L’art. 48 del Trattato CEE garantisce la libera circolazione dei lavoratori. Questa libertà prevede anche il divieto di discriminazione fondata sulla nazionalità. Gli Stati non hanno alcuna possibilità di decidere se attuare o meno questa previsione.

Tuttavia, la libertà di circolazione può essere limitata per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica.

Cosa decide la Corte di Giustizia? (Prima questione)

Si tratta di norme che impongono allo Stato un obbligo preciso, che non richiede l’adozione di ulteriori provvedimenti e non lascia allo Stato la possibilità di decidere se attuarlo o meno. La libera circolazione può essere limitata SOLO per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica.

I giudici nazionali devono tutelare questi diritti che “derivano” dal diritto dell’UE.

Cosa si chiede alla Corte di Giustizia? (Seconda questione)

  • L’art. 3 direttiva 64/221/CEE attribuisce direttamente dei diritti ai cittadini europei? E i giudici nazionali devono tutelare questi diritti che “derivano” dal diritto dell’UE?

Cosa decide la Corte di Giustizia? (Seconda questione)

La possibilità, per lo Stato, di limitare la libera circolazione per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica ESISTE. Tuttavia, i provvedimenti di ordine pubblico devono essere adottati contro il comportamento della persona che chiede di entrare nel territorio dello Stato. Questa previsione permette di riconoscere che questa direttiva (64/221/CEE attribuisce direttamente dei diritti ai cittadini europei.

I giudici nazionali devono tutelare questi diritti che “derivano” dal diritto dell’UE.

 

 

Cosa si chiede alla Corte di Giustizia? (Terza questione)

  • L’art. 48 del Trattato CEE e l’art. 3 direttiva 64/221/CEE devono essere interpretati nel senso che:

uno Stato membro può ritenere che il fondamento su cui si basano i “motivi di ordine pubblico” siano:

  • la precedente o attuale appartenenza a gruppi o organizzazioni che lo Stato considera ANTISOCIALI, anche se non li vieta per legge;
  • l’intenzione di lavorare per una di queste organizzazioni, tenendo conto che i cittadini dello Stato che ospita possono farlo

                                                                                     ?

Cosa decide la Corte di Giustizia? (Terza questione)

  • L’appartenenza passata non giustifica il rifiuto all’ingresso della persona nello Stato.
  • L’appartenenza attuale può essere considerata come un atto volontario della persona e, di conseguenza, può giustificare il rifiuto all’ingresso della persona nello Stato.
  • La concezione di ordine pubblico varia da un Paese all’altro e da un’epoca all’altra: per questo motivo è importante lasciare liberi gli Stati. Da questo deriva che uno Stato membro può decidere di assumere una determinata posizione rispetto a un gruppo o un’attività considerata ANTISOCIALE e adottare provvedimenti per limitarne l’esercizio. Per questo motivo, lo Stato membro può decidere di richiamare i motivi di ordine pubblico per rifiuta l’ingresso della persona nel suo territorio, anche in assenza di una legge che vieti tali attività.

Una previsione che rende legittima anche la diversità di trattamento tra cittadini dello Stato e persone che chiedono di entrare nel territorio di quello Stato: sempre l’art. 48 del Trattato CEE, infatti, riconosce la libera circolazione dei lavoratori, senza discriminazione, ma prevede la possibilità di limitare questa libertà per ragioni di ordine pubblico, pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Questa limitazione opera anche nei confronti del diritto di rispondere ad offerte di lavoro, di andare ad abitare in uno degli Stati membri per svolgere un’attività di lavoro dipendente ecc.

Lo Stato non può negare ai propri cittadini di entrare nel proprio territorio, ma può negare l’ingresso, nel proprio territorio, di cittadini di altri Stati per motivi di ordine pubblico.

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