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IL CAPITANO ULTIMO E IL NUOVO PROCEDIMENTO DI REVOCA DELLA SCORTA

Adriana Colacicco e Gerardo Gatti criticano la decisione dell’UCIS (Ufficio Centrale Interforze)

Adriana Colacicco e Gerardo Gatti, ideatori del Progetto di Vita, hanno le idee chiare sull’avvio del procedimento di revoca della scorta al Colonnello dell’Arma dei Carabinieri dott. Sergio De Caprio, conosciuto come Capitano Ultimo.

Simbolo della lotta alla mafia, Capitano Ultimo è il fondatore del CRIMOR (Unità Militare Combattente) e con i suoi uomini, è l’autore dell’arresto di Totò Riina nel 1993.

Infamante è l’accusa che lo colpì insieme al Generale Mario Mori, uno dei fondatori del ROS, per favoreggiamento a Cosa Nostra e dalla quale vengono prosciolti nel 2006 “perché il fatto non sussiste”. Contestualmente il CRIMOR viene esentato dai suoi obblighi, cessa di esistere nel 1997 e i suoi componenti vengono trasferiti.

Capitano Ultimo viene trasferito al NOE (Nucleo Operativo Ecologico) di cui rimane comunque vice comandante, ma esonerato da incarichi operativi.

Adriana e Gerardo, da sempre attivi nella lotta alle mafie, sono disgustati dall’avvio del procedimento nei confronti di un onorato Servitore dello Stato.

Convinti che le persone oneste debbano lottare le mafie accanto ai carabinieri, ai poliziotti che ogni giorno lavorano e collaborano con i magistrati che fanno un lavoro importante, considerano il Capitano Ultimo un comandante d’esempio per i suoi uomini e per tutti noi, non un personaggio, ma un uomo semplice che per tutelare sé stesso, i suoi uomini e le sue indagini ha da sempre dovuto nascondere il suo volto dietro un passamontagna, mantenendo sempre occhi vigli e attenti.

È un Servitore dello Stato invisibile, ma conosciuto bene da Cosa Nostra che non dimentica le promesse fatte. Ma chi ha dimenticato il valore e l’operato del Colonnello De Caprio è lo Stato che più volte ha gli ha revocato e poi confermato la scorta e ora avvia un nuovo procedimento di revoca. Viviamo in Paese dove sulla lotta alle mafie si costruiscono le carriere politiche, si costruisce business e visibilità mediatica, come ad esempio un politico che viaggia in auto blindate che stridono per impressionare e magari cena in ristoranti con agenti armati in bella vista, questo non è combattere le mafie, la lotta alle mafie è ben altro.

I fondatori del Progetto di Vita ribadiscono che la lotta alle mafie è legalità e ricerca della verità, con semplicità e normalità, ma sempre in prima linea. Le donne e gli uomini delle scorte sono seri professionisti, vigili e discreti che conoscono il pericolo e la paura che non si ferma mai, quella stessa che gli permette di ragionare ed essere attenti. Vivere nella normalità significa lottare le mafie, nel quotidiano con un lavoro serio.

Adriana e Gerardo, vivono costantemente il pericolo della lotta alle mafie e considerano pericolose quelle persone che, con la visibilità anche televisiva e giornalistica, alimentano dubbi che si trasformano in false verità manipolando l’informazione pubblica.

Ritengono inammissibile che un politico o un “personaggio” che ha costruito la sua carriera sulla lotta alle mafie debba beneficiare di uomini e donne di scorta e, invece, chi ha servito con onore il Paese lottando in prima linea la mafia, ammanettando il boss Totò Riina e da lui condannato a morte, debba essere lasciato solo.

Condannato a morte, anche, da uno Stato che non ritiene opportuna la tutela di chi combatte le mafie e nello stesso tempo non riconosce la presenza delle mafie nel nostro Paese.

Adriana e Gerardo affermano questo, perché la politica è assente, la lotta alle mafie non è al primo posto nei loro programmi e una riforma della giustizia è ancora lontana perché si pensa a tutto e a niente.

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