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I giudici della Cassazione: i richiedenti asilo non devono dimostrare di essere in pericolo

 

Il tema dei migranti è stato per il Ministro dell’Interno Matteo Salvini uno dei temi più sentiti  in campagna elettorale, e continua ad esserlo anche ora che le elezioni le ha vinte. Dal giugno al dicembre 2018, Salvini ha rimpatriato 3.851 irregolari, e 867 in questo 2019 secondo i dati del Viminale. Quest’ultimo divulga periodicamente la stima reale del numero di immigrati irregolari in Italia; la cifra corrisponde a 90.000 persone circa, come comunicato dallo stesso Matteo Salvini il giorno della Liberazione. Sicuramente c’è chi ricorda che lo stesso in periodo di campagna elettorale pronunciò l’allarmante cifra di 500.000 irregolari, stima calibrata sul trend degli sbarchi in Italia durante il periodo dei “porti aperti“.

Questa situazione adesso è destinata a modificarsi nuovamente. Nel 2017, il Tribunale di Lecce e la Commissione prefettizia di Lecce rifiutarono la richiesta di asilo politico di un pachistano che, vistosi negare la protezione internazionale, effettuò un ricorso con il supporto e le competenze dell’avvocato Nicola Lonoce.

“Il mio assistito– spiega Lonoce all’Adnrkronos- aveva presentato richiesta d’asilo che è stata respinta, appunto, provvedimento che ho deciso di impugnare. Ho adottato questa decisione basandomi sul fatto che le informazioni sui paesi di provenienza dei richiedenti, sulle quali si basano le richieste d’asilo, sono troppo generiche. E non vengono prese in considerazione tutte le prove disponibili per una giusta decisione”. 

La Suprema Corte ha accolto così, il ricorso del pachistano. La Cassazione ha invitato i magistrati ad evitare “formule stereotipate” e “specificare sulla scorta di quali fonti” siano state acquisite “informazioni aggiornate sul Paese di origine” dei richiedenti asilo. Pertanto il giudice che volesse respingere una richiesta di asilo non può più ricorrere a formule generiche e fonti internazionali non specificamente richiamate, che attestano l’assenza di pericolo nel Paese di provenienza dei soggetti interessati. Il magistrato deve, secondo la Cassazione, farsi carico di ricercare informazioni effettivamente attinenti alla situazione del Paese di provenienza. Dovrà quindi verificare, su dati concreti e attendibili, se sussiste il pericolo o meno in quel Paese specifico e nel momento in cui la richiesta d’asilo viene effettuata.

Così, dunque, la Suprema Corte  esorta ogni giudice di merito a “un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del Paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate”. Si richiede uno sforzo istruttorio da parte del richiedente asilo, chiamato a testimoniare la situazione di pericolo, e al contempo subentra il dovere di cooperazione del giudice di merito, che non deve limitarsi a dichiarazioni di stile, cioè fonti documentali che prevalgono in assoluto rispetto alla dichiarazione del soggetto interessato.

Alla luce di queste puntualizzazioni giuridiche, la sentenza n.11312 del 2019 inerente alla richiesta di asilo del pachistano ha accolto il ricorso, cassando il provvedimento impugnato e rinviato gli atti al Tribunale di Lecce per un nuovo pronunciamento.

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