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I book influencers stanno rubando il lavoro ai giornalisti che si occupano di cultura?

Sempre più spesso si sentono molte polemiche nei confronti dei book influencers perché sarebbero colpevoli di “rubare il lavoro” ai giornalisti che scrivono di cultura. Ma è vero? E, soprattutto, cosa fanno davvero i book influencers?

Chi è un book influencer

Un book influencer è qualcuno in grado di influenzare l’opinione degli altri nel campo dei libri. Detta in questi termini sembra un concetto vuoto. Il termine influencer fa pensare all’ennesima vetrina per prodotti vari, dalla moda al tè dimagrante dalle dubbie doti miracolose. In realtà c’è molto di più. I book influencers sono in grado di spostare la bilancia di un mondo che è decisamente in crisi: quello dell’editoria e della lettura. Secondo le statistiche dell’Istat, chi legge di più in Italia sono i ragazzi nella fascia d’età che va dagli 11 ai 14 anni. Nella fascia 20-30, invece, si assiste ad un crollo drastico. Sarebbe molto facile dire che la disponibilità di tempo che si ha a 11 anni per leggere non è la stessa che si ha 30. I motivi sono anche altri. Molti studenti universitari ammettono di leggere di meno da quado frequentano l’università perché sono costretti già a leggere “per dovere”. Così leggere non è più un piacere. Se non si legge per molto tempo, ad un certo punto diventa anche complesso come ricominciare a leggere. In questo modo, entrano in gioco i book influencers. Grazie alle loro storie su Instagram o ai loro video su YouTube, raccontano i libri che leggono. Ce n’è per tutti i gusti, dai fan dei classici ai lettori di young adult.

Qual è il problema

Il problema, secondo molti giornalisti, è qual è il diritto dei book influencers di fare cultura? Non è detto che siano laureati o che abbiano altre competenze che gli permettano di parlare di libri con cognizione di causa. Il punto di vista dei giornalisti, in questo caso, è però distorto. I book influencers non sono lì per rubargli il lavoro. Non si stanno ergendo in cattedra grazie alle loro lauree o i vari titoli conseguiti. I book influencers sono lettori che parlano con altri lettori. “Ma sono supportati dalle case editrici”. Cosa c’è di diverso rispetto all’influencer di moda che diventa il volto di una campagna di questo o di quel brand? Nulla. È un problema per chi li segue? Se lo fosse non li seguirebbero più. Non solo. I giornalisti culturali si lamentano anche del fatto che, a molti eventi, ci siano più posti per i book influencers che no per loro, che sulla carta sono esperti. Il punto di forza dei book influencers è sicuramente il registro che usano per comunicare. In un’intervista a Radioluiss, Francesca Crescentini, alias Tegamini, ha raccontato che: “Quando parlo di libri su Instagram o sul mio blog, ne parlo come se stessi parlando con degli amici. Sinceramente non penso di rubare il lavoro a nessuno. Amo i libri e lavoro nel campo dell’editoria da vent’anni.”

“Sono tutte carine”

Un’altra questione è stata sollevata un paio di mesi fa da un articolo di Massimiliano Parente, uscito su Il Giornale. Nel suo articolo Parente sottolinea più volte come gli influencers in campo letterario siano solo donne che si limitano a fotografare i libri con copertine carine vicino a cappuccini carini. Non solo, Parente getta nel calderone anche il fatto che le book influencers siano carine, come se tutto questo fosse una parte fondamentale della questione. Degna di nota anche la conclusione: “Morale della favola e consiglio rivolti a tutte le commesse e vetriniste d’Italia: se vi siete stancate del vostro lavoro, andate su Instagram e diventate delle book influencer.” L’articolo fa emergere immediatamente due aspetti: la chiara frustrazione dell’autore per un mondo che non conosce, non capisce e non ha voglia di comprendere e il suo malcelato sessismo. Dai commenti di Parente è evidente che il mondo dei social e del marketing non siano il suo pane quotidiano. Se lo fossero, forse saprebbe che per fare quelle foto carine che lui tanto denigra ci vuole tempo e anche una certa dimestichezza. Per non parlare del fatto che servono delle idee per capire come creare il set. Ma per Parente questo non ha valore, perché evidentemente ci sono dei lavori che valgono più di altri. Soprattutto se risultano essere ad appannaggio di sole donne. Ciò denota anche che Parente non si sia informato più di tanto, dal momento che esistono anche book influencers maschi come Matteo Fumagalli e Mattia Tortelli.

Ma quindi i book influencers sono davvero una minaccia?

I book influencers in realtà non sono una minaccia. Sono percepiti come una minaccia perché il mondo del giornalismo non è in grado di stare al passo con i tempi e accogliere le nuove forme di comunicazione che esistono. Se i giornalisti che si occupano di cultura fossero in grado di padroneggiare i social come fanno i book influencers, rendendo quindi il loro lavoro più fruibile e meno ingessato, non si sentirebbero minacciati. È inevitabile che la comunicazione si evolva e nascano nuovi modi per comunicare. Prima c’erano i blog, adesso ci sono le storie su Instagram. Domani chi lo sa. Accusare i book influencers di rubare loro il lavoro non è un atteggiamento maturo verso un fenomeno in crescita e che non si fermerà grazie a delle polemiche sterili. Certo, non stiamo parlando dei numeri di Chiara Ferragni, ma comunque di una nicchia sostanziosa. Nonostante non faccia i numeri di altri tipi di influencers, sottolinea un fatto importante. Le persone hanno ancora voglia di leggere, semplicemente hanno bisogno di un’ispirazione. Il lavoro dei giornalisti che si occupano di cultura non scomparirà dall’oggi al domani. Tuttavia, dovranno aggiornarsi, invece di delegittimare qualcuno che riesce dove loro ancora non arrivano.

A cura di B.P.

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