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Golpe militare in Burkina Faso, presidente in arresto

 

Anche il Burkina Faso, come la Guinea e il Mali, è finito nella mani dei militari.

Nel poverissimo Paese dell’Africa occidentale, schiacciato da quasi un decennio di brutalità jihadista, forze armate ribelli hanno destituito il presidente Roch Marc Christian Kaboré e dissolto il parlamento.

Accusando le autorità civili di aver fallito contro l’Isis e al Qaida, che hanno ucciso migliaia di persone e costretto un milione e mezzo a fuggire dalle proprie case. Tra la crescente esasperazione della popolazione. La crisi, scoppiata con episodi di ammutinamento in varie caserme e manifestazioni anti-governative in cui è stato dato alle fiamme il quartier generale del partito di Kaborè, è degenerata nello spazio di 24 ore con la notizia dell’arresto del presidente da parte dei soldati ribelli. Il capo dello Stato, insieme con il leader del Parlamento ed alcuni ministri, sono stati condotti in una caserma della capitale Ouagadougou, hanno poi confermato diverse fonti della sicurezza, mentre nei pressi della residenza di Kaborè sono stati visti tre veicoli militari crivellati di proiettili e tracce di sangue. E decine di militari incappucciati si sono appostati davanti alla sede della tv pubblica. Nel caos ad un certo punto è apparso un tweet del presidente che invitava “coloro che hanno imbracciato le armi a riporle nel più alto interesse della nazione”. Impossibile però sapere se l’avesse scritto di suo pugno ed in quali circostanze, mentre il partito denunciava persino un “tentativo di ucciderlo”. In serata i golpisti hanno fatto chiarezza, annunciato in televisione di aver preso il potere, destituendo governo e parlamento, e di aver chiuso le frontiere. Con la promessa di rito di un “ritorno all’ordine costituzionale in un tempo ragionevole”. A capo della rivolta il tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, leader del Movimento patriottico per la salvaguardia e la restaurazione. Le condizioni per il colpo di Stato sono maturate a causa della politica di sicurezza fallimentare condotta dal presidente Kaborè, ha riferito un portavoce dei ribelli, chiedendo “mezzi adeguati” nella lotta contro i jihadisti, la “sostituzione” dei vertici militari, ed aiuti alle famiglie delle vittime. Dando voce alla frustrazione di un esercito male addestrato ed equipaggiato che finora ha avuto la peggio nei confronti delle milizie jihadiste affiliate ad al Qaia e dall’Isis. Terroristi che imperversano nel Paese dal 2015 portandosi dietro una scia di morte e distruzione. Da questo punto di vista, la voce dei golpisti è anche quella della popolazione, esausta per il clima di insicurezza. Il bersaglio di questa rabbia è il capo dello Stato, il simbolo delle promesse perdute. Ex banchiere devoto cattolico, in un paese in gran parte musulmano, Kaborè era stato eletto nel 2015 per voltare pagina, un anno dopo l’insurrezione popolare che aveva rovesciato l’uomo forte Blaise Compaore. Ed era stato confermato nel 2020 assicurando che avrebbe fatto piazza pulita dei jihadisti. In un momento in cui gli attacchi contro i civili si susseguivano a cadenza quotidiana. Eppure la violenza non è mai cessata, anzi è aumentata, così come le manifestazioni anti-governative, il più delle volte represse dalla polizia. Fino al drammatico epilogo di queste ore. L’Unione Africana e l’Onu hanno “condannato con fermezza” l’escalation in Burkina Faso, ed anche l’Ue e Stati Uniti hanno chiesto “l’immediato” rilascio del presidente e degli altri funzionari. Allarmati perché la crisi a Ouagadougou, purtroppo, non è un caso isolato, ma è l’ulteriore spia dell’instabilità del Sahel, sempre a causa del terrorismo jihadista. Una regione, quella dell’Africa occidentale, dove non a caso si è registrata a un’ondata di colpi di Stato militari negli ultimi 18 mesi.

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