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Giovanni Orsina e l’ascesa dell’antipolitica

Il professor Giovanni Orsina ha analizzato l’ascesa dell’antipolitica e della situazione attuale in cui versa la democrazia.

Durante la lezione che si è tenuta in LUISS, in occasione del Summer Program sulla Parliamentary Democracy in Europe, il professor Giovanni Orsina, responsabile della LUISS School of Government, ha parlato dell’ascesa dell’antipolitica e di cosa possiamo fare per cambiare un sistema che rischia di implodere.

Cambiare il sistema

Uno dei punti fondamentali è che non è semplice cambiare il sistema che conosciamo. Non possiamo pensare di modificare la democrazia liberale dall’oggi al domani. Si tratta di un sistema ormai consolidato che, nonostante tutti i suoi difetti, resta in piedi. Problema: negli ultimi anni, la democrazia liberale ha dimostrato di essere un sistema profondamente inadatto per confrontarsi con la realtà che esiste ora. Così hanno preso piede le forze populiste che ben conosciamo. Cosa succederà allora? Sembra esserci una sorta di isteria collettiva che ci spinge a provare ansia per ciò che accadrà non solo nel nostro paese, ma a livello globale. Sono infatti emersi tutti insieme dei fenomeni come i movimenti populisti, uniti   a una generale difficoltà per tutti gli organi di rappresentanza.

Un sintomo, non una malattia

Tutti gli aspetti elencati non sono una malattia. Sono i sintomi di una patologia molto estesa, che se non viene curata nel modo corretto può essere letale. Come se, parlando di AIDS, l’unico focus fosse sulla febbre alta. In realtà, la vera malattia riguarda la dimensione politica del sistema. Più nello specifico, qual è attualmente il ruolo della dimensione politica? Bella domanda. Proprio perché non c’è una risposta, si avverte come la dimensione politica sia in crisi. In particolare, vi sono meno aree in cui i cittadini possono prendere decisioni. Proprio per questo, la politica è sia un sintomo che un tentativo di risolvere la situazione. Indi per cui, i partiti populisti riescono ad ottenere voti.

Tre punti fondamentali

Ci sono tre aspetti fondamentali che il professor Orsina ha sottolineato e che spesso vengono considerati i colpevoli della crisi della democrazia. Si tratta della globalizzazione, di internet e della grande recessione. La globalizzazione è problematica perché la crisi del sistema democratico è stata causata da una disconnessione tra la dimensione geografica e il processo decisionale. Vi è quindi un’antitesi tra ciò che è nazionale e ciò che è globale. Tuttavia, la globalizzazione è sempre esistita. Orsina ha fatto notare che, in realtà, questo fenomeno tanto temuto non è recente. Certo, adesso è più forte che mai. Tuttavia, da sempre l’essere umano è stato cosmopolita e si è spostato in giro per il mondo, misurandosi con culture diverse, tradizioni diverse e altre forme di governo. Un altro fattore problematico è internet. Con il suo avvento, i tempi della politica si sono compressi. Adesso internet batte il tempo della politica, costringendola ad adeguarsi a una tempistica estremamente sincopata che non le appartiene. Ultima, ma non meno importante, la grande recessione, alias la crisi economica che ha colpito il nostro sistema finanziario nel 2008. Chiaramente, vivendo in un mondo globalizzato e interconnesso, la crisi, partita dagli Stati Uniti, è arrivata in Europa, con gli effetti che tutti conosciamo.

Il problema è più complesso

Sarebbe semplicistico confinare il problema a questi fattori. La questione è molto più complessa ed è legata alle controversie insite nella democrazia. Viviamo nella crisi della dimensione politica. Per superare questa situazione, è necessario ripensare il modo in cui vengono prese le decisioni collettive a livello di polity. La crisi di cui tanto parliamo, in realtà, era già stata prevista. De Tocqueville aveva avuto l’occhio lungo. All’interno della democrazia esiste una contraddizione: l’autodeterminazione dell’individuo e l’autodeterminazione della comunità politica. Com’è possibile conciliare all’interno di un progetto estremamente individualistico il fatto che l’individuo decida di rinunciare a parte della sua autodeterminazione? In altre parole, com’è possibile conciliare l’autodeterminazione a livello individuale e a livello politico, dunque collettivo? Una domanda non di facile risposta.

Che cosa sta succedendo adesso

Dagli anni Sessanta in poi, come reazioni agli anni Cinquanta, il meccanismo sociale nelle democrazie avanzate è stato completamente smantellato. Vi è stato il tentativo di provare a rompere le barriere per ottenere più autodeterminazione individuale. Da qui poi si è giunti alla mobilizzazione della cosiddetta grassroots democracy, ovvero tutti quei processi che vengono portati avanti da un gruppo di cittadini ordinari. Negli anni Settanta abbiamo assistito al fallimento dell’agire collettivamente. Non possiamo, infatti, agire collettivamente senza rinunciare in parte alla nostra libertà politica. Un ottimo esempio è Lotta Continua, una delle formazioni di punta dell’estrema sinistra italiana. Tuttavia, inizialmente non si è costituito come partito. Avrebbe richiesto un certo livello di disciplina. Infatti, quando alla fine lo diventerà, sarà possibile osservare il suo fallimento. Successivamente, Lotta Continua non parlerà più di libertà politica, ma di libertà a livello esistenziale. Un piano del pensiero completamente diverso.

Cercare un compromesso

A questo punto è necessario raggiungere un compromesso tra l’azione politica a la libertà individuale. In alcuni casi, per raggiungere un compromesso, può accadere che vi sia una rivoluzione, intesa come un singolo atto di violenza. Dove però non si verifica una rivoluzione, è necessario organizzarsi. Le élite politiche devono rispondere adeguatamente ai cambiamenti strutturali che si verificano nella società. In questo caso si utilizzerà un metodo non violento: delle riforme istituzionali. In particolare, il potere verrà decentrato. Un esempio classico sono le regioni in Italia o le devolution nel Regno Unito. Il potere viene così ridistribuito tra entità non rappresentative.

Problema e soluzione

Troppo spesso tuttavia, si sceglie di ignorare il fatto di avere un problema. È molto più semplice, ma nel lungo periodo questo atteggiamento può rilevarsi fatale per il sistema di governo. Ad esempio, si tende a dare sempre più democrazia alle persone perdisciplinarle. In questo modo, le istituzioni diventano più lente in un modo sempre più veloce. Non riescono a stare al passo. Maggiore la sfera individuale dei diritti umani, minore è il controllo dello stato. Ergo non può più intervenire su alcuni aspetti. Il punto non è stabilire se ciò sia positivo o negativo. Il punto è capire quali provvedimenti si stanno mettendo in atto e cosa succederà in futuro. Certo, fare una previsione è difficile, ma come ha concluso il professor Orsina, “I’m over realistic, thus I end up being pessimistic”, (Sono troppo realista, dunque finisco per essere pessimista). Ai posteri l’ardua sentenza.

 

A cura di B.P.

 

 

 

 

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