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E’ morto a 48 anni Ezio Bosso, soffriva di una malattia degenerativa

 L’artista era stato operato nel 2011 per un tumore al cervello, dopo il quale gli era stata diagnosticata una malattia che con il tempo ha compromesso l’uso delle mani

 

Nonostante le malattie, ha continuato a suonare, comporre e dirigere. Successivamente, nel settembre 2019 il peggioramento della malattia ha costretto Bosso ad interrompere l’attività di pianista.

Nato a Torino il 13 settembre 1971, padre operaio, Ezio Bosso si innamora della musica da bambino, grazie a una prozia pianista. Per seguire la passione a 16 anni se ne va da casa, debutta come solista in Francia. L’incontro con Ludwig Streicher, contrabbassista dei Wiener Philharmonic, segna il suo destino. Intuendone il talento, il musicista austriaco lo indirizza all’Accademia di Vienna dove Bosso studia contrabbasso, composizione, direzione d’orchestra. E da contrabassista suona in importanti formazioni, tra cui la Chamber Orchestra of Europe di Claudio Abbado. Con il maestro milanese Ezio instaura un legame non solo artistico ma di amicizia. Dopo la morte di Abbado, nel 2017 sarà Ezio a farsi testimonial dell’eredità della sua ultima creatura, l’Associazione Mozart14, nata a Bologna per portare la musica nei luoghi del dolore, nelle carceri, negli ospedali. Il percorso nella malattia di Claudio sarà per Ezio un esempio di resistenza e di rinnovato impegno in una musica che, come amava ripetere, «è la vera terapia».

La quarantena imposta dal virus gli è stata fatale. Ancora una volta ha cercato di reagire, si è impegnato in uno studio matto e disperatissimo delle partiture, si è appassionato alla lettura di libri di storia. Ma la linfa per lui salvifica, il fare musica insieme con gli altri e per gli altri, non c’era più. «I miei orchestrali sono i miei fratelli, i miei figli. Ci sentiamo moltissimo ma non è lo stesso». Si preoccupava per il loro futuro: «Alcuni stanno vivendo un periodo di grande sofferenza, non possono più suonare, non hanno più un reddito». Era triste Ezio, ma non smetteva di pensare al futuro. Aveva in mente molti progetti, stava pensando a nuovi modi di fare musica nel rispetto delle distanze. La voglia più grande era sentire il calore di un abbraccio. Abbracciare gli amici, i suoi musicisti. Magari un albero. Sentire la forza di un affetto che passa da un essere vivente all’altro tramite le braccia. Anche quando sono esili e dolenti come le sue.

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