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Dimessa coppia cinesi a Roma, primi malati in Italia

DIMESSA COPPIA DI CINESI, PRIMI MALATI IN ITALIA:  Il saluto commosso ai vertici dell’istituto e ai medici che li hanno curati e ‘coccolati’ per quasi due mesi. “Ci avete salvato la vita. Amiamo lo Spallanzani, amiamo l’Italia” hanno detto con gli occhi lucidi. Dopo 49 giorni di ricovero i coniugi cinesi – primi casi accertati di Coronavirus in Italia – hanno lasciato lo Spallanzani di Roma. Da qualche settimana sono clinicamente guariti, ma la moglie in particolare dovrà terminare il percorso di riabilitazione. Nel pomeriggio hanno lasciato l’istituto per le malattie infettive della Capitale diretti all’ospedale San Filippo Neri.
    Per loro è stato predisposto il trasferimento con una ambulanza in biocontenimento, precauzione non necessaria essendo la coppia guarita, ma adottata per non impegnare un’ambulanza usata per le emergenze. 

85ENNE VINCE IL VIRUS A CODOGNO, DIMESSO: Era ricoverato per una pericardite nel reparto di medicina a Codogno, nell’ospedale dove, con la scoperta del primo caso positivo, quello di Paziente1, è scoppiata l’emergenza Coronavirus. E’ stato infettato, poi tenuto in isolamento per quasi un mese, e oggi, per la festa del papà è tornato a casa. E’ la storia di Giancarlo Bonvicini, 85 anni, pensionato che, nonostante l’età, è riuscito a tenere a bada il virus. Lui che da piccolo ha avuto il tifo, ha superato una guerra, è stato un gran fumatore e di professione faceva il verniciatore, è rimasto asintomatico e non è mai peggiorato. E’ uscito indenne, e ha solo un po’ patito la solitudine. Questa mattina, quando è uscito, è stato festeggiato dalle infermiere. E lui commosso le ha ringraziate per essere state i suoi ‘angeli custodi’. “E’ il primo guarito nella medicina dell’ospedale di Codogno”, racconta con orgoglio il figlio Flavio, che è il veterinario della cittadina del Lodigiano. “Ce l’ha fatta, non è mai peggiorato. E’ rimasto lì, isolato per quasi un mese: nessuno poteva andarlo a trovare, ci parlavamo solo al telefono. Era tranquillo”.

NEOMEDICO, PRONTI ALL’EMERGENZA: Alla fine, dopo settimane di appelli, petizioni e post sui social, il governo li ha ascoltati. Giulia Lamperti, 26 anni, è una delle migliaia di neolaureati in medicina che hanno portato avanti, e vinto, la battaglia per accedere direttamente alla professione medica e dare così una mano ai colleghi più anziani a combattere il Coronavirus in Italia. E nei prossimi giorni, per effetto del decreto del presidente del Consiglio, scenderà in campo a Milano per aiutare gli altri medici che oggi stanno lavorando a ritmi straordinari per rispondere all’emergenza, in Lombardia come nel resto di Italia. “Di certo mi aspettavo un ingresso più soft nel mondo del lavoro – racconta all’ANSA – ma vista la situazione sono felice di mettermi a disposizione per fare tutto quello che serve”. La battaglia di Giulia e dei suoi ex compagni di studi per la laurea abilitante comincia alla fine di febbraio, quando ancora i casi di Covid-19 in Lombardia sono relativamente contenuti. Così quando il governo decide di rinviare il loro esame di abilitazione alla professione, creano l’hashtag ‘Fateci abilitare’ e lanciano un appello al Miur, al Ministero della Salute e ai rettori dei vari atenei italiani.

‘PASTI FUORI DALLA PORTA, IO MALATO IN CASA‘: Un incubo durato due settimane: dai primi sintomi, febbre alta e tosse, sino alla paura di essere stato contagiato dal coronavirus, per arrivare alla guarigione che si è manifestata negli ultimi giorni. E’ l’esperienza vissuta da Francesco, 55 anni, un professionista che insieme alla sua famiglia (moglie e due figli) abita in un appartamento di Pavia non lontano dal centro. “Circa due settimane fa – racconta Francesco – ho iniziato a non sentirmi bene. A preoccuparmi erano soprattutto la febbre, che ha superato i 39, e una tosse secca e insistente. Ho subito pensato che si trattasse di coronavirus. Ne ho parlato con il mio medico di famiglia, che mi ha consigliato di mettermi in isolamento e di curarmi con la Tachipirina e un farmaco per alleviare il fastidio della tosse”. Francesco si è anche chiesto se non fosse il caso, considerati i suoi sintomi, di sottoporsi ad un tampone: “Ne ho parlato telefonicamente anche con l’ambulatorio di malattie infettive del Policlinico San Matteo di Pavia: sono stati molto gentili e mi hanno spiegato che non era necessario, visto che, per mia fortuna, non accusavo problemi respiratori”.

MEDICI DI BERGAMO: ‘LA PAURA AMMUTOLISCE I MALATI’: “La paura ammutolisce i pazienti, si spaventano di chiedere notizie sulle loro stesse condizioni, se sono gravi, se possono sperare, se migliorano, se peggiorano. Non domandano niente, subiscono gli eventi. Anche i giovani si comportano così”. Renata Colombi, responsabile del Pronto soccorso dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, racconta dei malati di Covid-19 che da 20 giorni arrivano a decine nella struttura sanitaria, in media 60 al giorno, con un picco di un centinaio il 16 marzo. “Quando arrivano qui hanno tutti già la polmonite. Chi è più grave lo teniamo nei letti che abbiamo allestito in pronto soccorso fino a che non si liberano posti in terapia intensiva.Nel giro di pochissimo tempo stiamo registrando un comportamento totalmente diverso dei pazienti verso gli operatori sanitari – dice – prima del Coronavirus chi veniva in pronto soccorso aveva già letto sul web informazioni e ci faceva l’interrogatorio su che cosa gli avremmo fatto, sui farmaci, le terapie. Il tono non era collaborativo. Adesso non c’è più nessuna ostilità: si affidano a noi ciecamente, si mettono nelle nostre mani”.

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