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Davvero il coronavirus potrebbe rompere internet?

 

L’eventualità avrebbe del paradossale: ancora prima che una connessione a internet decente possa essere disponibile per l’intera popolazione mondiale la rete andrebbe incontro al collasso, per un periodo più o meno lungo. Come dire: anche nella crisi più violenta, i mercati occidentali finirebbero per utilizzare così tanto i servizi per lavorare, divertirsi e tenersi in contatto, tappati in casa per settimane dal virus cinese, da privare definitivamente i paesi in via di sviluppo di quel network fondamentale che fa scorrere nelle vene del mondo il sangue dell’informazione, dei contenuti, dell’educazione, degli affari, dei servizi.

D’altronde, secondo gli ultimi dati diffusi dall’International Telecommunications Union e aggiornati al primo semestre dello scorso anno, solo 4,5 miliardi di persone hanno accesso a internet. Vale a dire il 58,8% della popolazione mondiale. E la quota delle utenze domestiche è ben più bassa. Spicca il Nord America, dove l’89% della popolazione è connessa. Seguono l’Europa, con l’87,7%, e l’America Latina, con il 68,9%. Il divario fra chi può connettersi e chi non può si approfondisce in Africa, dove naviga solo il 40% della popolazione. Questo tanto per dare un quadro di partenza e spiegare come, almeno dal punto di vista delle opportunità, mezzo mondo quell’emergenza che oggi noi rischiamo la vive da sempre. Di default, per usare un termine informatico.

 

Con oltre due miliardi di persone chiuse in casa, dall’Italia all’India passando per una bella fetta d’Europa e – soprattutto – per gli Stati Uniti, la preoccupazione delle autorità e degli operatori, nelle ultime settimane, è che l’infrastruttura possa ostruirsi. Come in autostrada, potrebbero crearsi delle infinite code che abbattono la velocità e, spesso, rendono impossibile il transito. Come ha spiegato l’Agi, se Ookla ha già segnalato in Italia un rallentamento della rete del 10%, gli operatori hanno confermato sottolineando – è il caso di Tim – un aumento dei volumi sulla rete fissa del 90% e su quella mobile del 30% dall’inizio della crisi sanitaria a oggi. WindTre ha stimato rispettivamente del 40 e 35%, Open Fiber calcola invece un aumento del traffico dal 40 al 70% in download e del 300% in upload (segnale inequivocabile che, dopo anni di resistenza, è decollato per forza di cose lo smart working). Cifre simili per tutti gli altri operatori. Il punto vero è inoltre l’intensità del picco, arrampicatosi ormai del 40%.

 

Lo sa bene Mark Zuckerberg che giorni fa, nel corso di un punto con la stampa internazionale, ha lanciato l’allarme sulle sue infrastrutture che gestiscono Facebook, Instagram (ormai regno delle dirette continue per ogni sciocchezza) e WhatsApp in qualche maniera mettendo le mani avanti: nessun problema per ora, ma se l’epidemia si diffonderà coinvolgendo altri mercati, e sempre più gente passerà la giornata agganciata a internet per svolgere qualsiasi genere di incombenza, dalle lezioni scolastiche ai film sul divano, allora si rischierà per infrastruttura e server aziendali.

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