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Daphne Caruana Galizia: Malta due anni dopo

Nel 2017 la giornalista Daphne Caruana Galizia è stata uccisa con un’autobomba a Malta. Due anni dopo il punto sulle indagini e sulla libertà di stampa nell’isola.

La compravendita dei passaporti, i Panama Papers, la Pilatus Bank. Le indagini di Daphne Caruana Galizia non erano ben viste dal governo maltese. Mettevano a repentaglio gli ottimi rapporti con i magnati e gli sceicchi. Doveva smettere di scrivere.  In modo definitivo.

16 ottobre 2017

Il pomeriggio del 16 ottobre 2017 a Bidnija, la giornalista Daphne Caruana Galizia esce di casa. Sta andando in banca, le hanno congelato il conto in via preventiva. L’ennesima vessazione che deve subire. Solo 15 giorni fa ha denunciato alla polizia di aver ricevuto minacce di morte.

Suo figlio Matthew, anche lui giornalista, sta lavorando in salotto. Ad un certo punto la madre rientra in casa: ha dimenticato qualcosa. Lo saluta ed esce.

Questaa sarà l’ultima volta in cui Matthew vedrà sua madre.

Pochi minuti dopo, si sente un boato.

La Peugeot 108 di Daphne Caruana Galizia è esplosa. Qualcuno ci ha messo una bomba. 400 grammi di tritolo. La quantità che si usa per sventrare i furgoni portavalori.

Matthew si precipita fuori. Vede pezzi di lamiere che bruciano insieme a dei resti umani. Sa che si tratta di sua madre. Lo sa dal primo momento.

In questo modo, inizia una pagina molto dolorosa per la libertà di stampa. Una pagina che fa sorgere molti dubbi e spinge a riflettere su un diritto che, troppo spesso, diamo per scontato.

È stata uccisa una giornalista in un paese che, almeno sulla carta, dovrebbe essere una democrazia.

Perché Daphne Caruana Galizia è stata uccisa?

Cosa è successo a due anni dal suo omicidio e come si sta comportando il governo maltese?

Le indagini

Secondo il 2019 World Press Freedom Index redatto da Reporters Without Borders, Malta è il 77° paese al mondo per libertà di stampa, tra il Togo e il Lesotho.  Due anni fa era al 65° posto. Subito dopo l’omicidio, la polizia rimane convinta di una sola ed unica pista: la criminalità locale. Daphne Caruana Galizia era solita indagare in questioni che non piacevano, dunque, secondo le autorità locali, non c’era nulla di strano se era finita così. Peccato che non ci siano solo le indagini ufficiali della polizia maltese. Ci sono, infatti, anche le indagini parallele portate avanti dal consorzio di giornalisti del Daphne Project, creato per fare luce su ciò che è accaduto davvero alla loro collega. All’iniziativa partecipano OCCRP, Forbidden Stories, IRPI, Süddeutsche Zeitung, La Repubblica e Radio France. Non solo, ci sono anche The Guardian, Reuters, Le Monde e The New York Times. Il consorzio, grazie alle sue fonti, scopre che il Ministro dell’Economia maltese, l’avvocato Chris Cardona, ha incontrato presso Ferdinand’s di Siggiewi, i fratelli George e Alfred Degiorgio. Due dei tre presunti esecutori materiali dell’omicidio di Daphne. Il tutto sarebbe avvenuto un mese prima dell’omicidio. Non solo, un secondo testimone ricorda anche un incontro precedente avvenuto a novembre. La pista della criminalità organizzata, già fragile all’inizio, inizia a vacillare del tutto. Vi anche un altro aspetto molto strano. Il telefono di George Degiorgio, che inviò il messaggio che fece esplodere l’auto, era già sorvegliato per altri motivi dai servizi segreti maltesi da mesi. Perché nessuno ha impedito l’omicidio?

Le inchieste e gli attacchi

Perché Daphne stava scoprendo delle cose che il governo avrebbe preferito insabbiare. Prima fra tutte, la compravendita dei passaporti a sceicchi e oligarchi russi che vogliono espandersi in Europa, ma non sanno come fare. Alla modica cifra di 1 milione è possibile diventare cittadini europei. Semplice, ma non esattamente una questione pulita. Il Daphne Project ha scoperto che nel 2015, il capo dello staff del primo ministro Joseph Muscat, Keith Schembri e il ministro del Turismo Konrad Mizzi hanno ricevuto dall’Azerbaijan pagamenti per 1 milione e 600 dollari, grazie ad un complicato giro tra Malta, Seychelles, Dubai e Panama. E Daphne lo sapeva. O almeno lo sospettava. Proprio per questo, qualcuno di spicco nel governo ha deciso di chiuderle la bocca per sempre. Prima di ricorrere all’autobomba, le violenze nei suoi confronti sono state graduali. Nel 2008 apre il suo blog Running Commentary, dove pubblica le inchieste che nessun altro quotidiano maltese è disposto ad acquistare. Il sito diventa uno dei più popolari dell’isola con più di 4000.000 visualizzazioni. Le aggressioni nei confronti di Daphne non sono una questione recente. Nel 1996, la porta della sua casa fu incendiata. Le uccisero il cane e lo lasciarono sulle scale di casa. Come una testa di cavallo. Un avvertimento, come a dire “La prossima sei tu”. Ma Daphne non si lascia intimidire, e continua per la sua strada. Qualche anno dopo, l’auto dei vicini venne incendiata. Non solo, ogni giorno riceveva continue minacce telefoniche, lettere minatorie, mail e commenti sul suo blog. Nel 2013 viene addirittura arrestata per aver violato il silenzio elettorale.

Panama Papers

Daphne rivela sul suo blog che il ministro Mizzi ha dei legami con Panama e la Nuova Zelanda. Qualche giorno dopo, il ministro è costretto a riferire una sua versione. Ammette l’esistenza di una società neozelandese acquistata per gestire gli affari di famiglia. Daphne rivela Keith Schembri possiede una società in Nuova Zelanda, che a sua volta è proprietaria di una società panamense. Non solo, Schembri, insieme a Mizzi, possiede la Tillgate Inc., un’altra società invischiata nella questione Panama Papers. Nel 2017, Daphne accusa di far parte del giro anche Egrant, la società panamense della moglie di Muscat. Il primo ministro sostiene che a causa di Daphne abbia dovuto indire nuove elezioni. Peccato che la giornalista abbia dimostrato il contrario.  Al momento della sua morte, Daphne era protagonista di 48 cause per querela. Il proprietario della Pilatus Bank, Ali Sadr Hasheminejad le aveva fatto causa in Arizona sia a suo nome che a nome della banca. Danni totali: 40 milioni di dollari. Ogni accusa è caduta dopo la morte della giornalista. Pilatus Bank aveva già scritto a ogni organo di stampa maltese, minacciando di citarli se non avessero cambiato il contenuto dei loro articoli. Non c’è da stupirsi che, alla fine, l’unica a ricevere una querela sia stata Daphne. Ormai aveva scoperto troppe cose e il governo non sapeva più come contenere una persona con sete di giustizia in un sistema marcio come quello che si è affermato a Malta.

Due anni dopo

Sono passati due anni dalla morte di Daphne e ci sono ancora un sacco di punti da chiarire. Primo fra tutti, il ruolo del governo maltese. Quando è avvenuto l’omicidio, il primo ministro Muscat ci ha tenuto a dire che l’omicidio della giornalista “lo ha scioccato e offeso. Nessun primo ministro vorrebbe una giornalista venisse uccisa, in nessuna circostanza”. Eppure, è successo. Siamo in un paese dell’Unione Europe, dove per accedere sono richieste determinate caratteristiche. Tuttavia, nessuno ha protetto Daphne Caruana Galizia. In un’intervista a Che Tempo Che Fa, Matthew ha raccontato che la persona che indaga sull’omicidio di sua madre è la stessa che mesi prima era entrato nella loro casa per arrestarla. Un sistema imparziale e democratico. Addirittura, alcuni maltesi hanno detto che avrebbero potuto ucciderla in modo più sobrio, per destare minor clamore. È lecito domandarsi quanto sia corrotto il sistema, se dei cittadini, che vivono in uno stato democratico, reagiscono in questa maniera davanti alla violazione della libertà di stampa. Come ha detto il presidente del Parlamento Europeo Sassoli: “È necessario ricordare l’importanza della libertà di espressione e della libertà di stampa in paesi democratici come i nostri. È preoccupante pensare che nel ventunesimo secolo sia ancora necessario combattere per difendere i diritti dei cittadini: sono alla base dei nostri valori europei.” Vero, ma come si fa a parlare di valori europei in un sistema in cui la cittadinanza si può acquistare come un bene di consumo?

Daphne Caruana Galizia è stata uccisa in modo violento e brutale. Un sistema corrotto ha provato a silenziare l’unica voce che aveva il coraggio di cantare fuori dal coro. Sperava di metterla a tacere per sempre, ma non ci è riuscito. La notizia ha avuto troppo eco. La sua famiglia ha avuto la forza di non lasciar cadere tutto nel vuoto e di parlarne ogni giorno. I giornalisti di Forbidden Stories hanno continuato ad indagare. Probabilmente, il mandante dell’omicidio non sconterà neanche un giorno di prigione per ciò che ha fatto e Daphne non sarà l’ultima giornalista uccisa a causa del suo lavoro. Non per questo non vale la pena lottare. Non importa da dove veniamo, un diritto cardine del sistema democratico è stato minacciato. Un diritto che ci appare quasi scontato. Ma evidentemente, non è così.

 

A cura di B.P.

 

 

 

 

 

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