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Combattere la mafia, senza paura

Lotta alla mafia: da Borsellino ai comitati governativi

Ieri è stato celebrato il venticinquesimo anniversario di un evento tragico: la morte del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta.

Il miglior modo per ricordare il giudice che ha pagato con la vita il suo impegno nella lotta alla mafia è analizzare criticamente i suoi scritti e le sue dichiarazioni, soprattutto quelle rese ai giudici del Consiglio Superiore della Magistratura, dalle quali emerge chiaro il conflitto irrisolto tra ciò che è giustizia e ciò che, invece, è diritto: due strade che spesso si muovono in direzioni molto diverse.

Le istituzioni hanno dato risposte alle esigenze di giustizia dei cittadini, creando organi antimafia, dalle Direzioni Distrettuali alle Commissioni e comitati governativi, ma ciò sembra non essere sufficiente a vincere definitivamente la battaglia contro le mafie che sembrano allungare i propri tentacoli in ogni settore economico del Paese.

 

Perché la mafia continua a esistere?

Dopo anni di sensibilizzazione, il fenomeno della mafia è sempre meno accettato dalla popolazione e, contestualmente, l’attività degli organi impegnati nel contrasto delle attività ad essa riconducibili è sempre più intensa. Tuttvia, la mafia esiste. Esiste ancora, nonostante gli sforzi delle istituzioni.

Per comprendere realmente le motivazioni della sopravvivenza di questo crimine che infanga il nostro Paese occorre innanzitutto prendere atto di alcune inefficienze che indubbiamente hanno caratterizzato la lotta alla mafia.

Sarebbe opportuna un’autocritica da parte di tutti coloro che, originari delle terre controllate dalle mafie, hanno ricoperto importanti ruoli a livello nazionale o regionale e hanno fatto poco o nulla: non sono stati capaci di opporsi in maniera significativa.

“Opporsi alle mafie è pericoloso”: è questa la risposta che spesso riceve chi vorrebbe sconfiggere la criminalità. Certo, opporsi alle mafie è molto pericoloso ed è il motivo per cui l’opposizione dovrebbe essere collettiva e non individuale, dovrebbe coinvolgere la comunità intera e non un singolo.

Una resistenza condivisa al fenomeno mafioso permetterà quantomeno di circoscriverlo, per combatterlo meglio, ma soprattutto per conoscerlo. Ed è proprio questo che Falcone e Borsellino ci hanno insegnato: a conoscere la mafia, a prendere atto della sua esistenza e a non avere paura di lottare dignitosamente contro il suo diffondersi.

 

 

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