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“Cercasi femministe indignate”

“Stupra figlia e beneficia di sconto di pena. Dove sono le femministe?”, si chiede Daniela Santanchè riferendosi a un recente fatto di cronaca.

Venerdì 18 gennaio il Tribunale di Modena si è pronunciato su un caso complesso e delicato. Nel 2015 un modenese di 40 anni, di origini ghanesi, è stato accusato di aver stuprato la figlia di 13 anni. La piccola è rimasta incinta delle violenze, e si è poi recata al consultorio, proprio insieme al padre. La giovane età della bambina ha fatto insospettire i medici, che hanno approfondito la questione. In un primo momento, la 13enne aveva indicato il fratello, minorenne anche lui, come padre del nascituro. La questione era quindi stata inizialmente approfondita dalla Procura dei Minori di Bologna. Successivi esami del DNA del feto, del fratello e del padre, hanno però portato a indicare proprio il 40enne come genitore del bambino che la piccola aveva portato in grembo. Nel frattempo, infatti, la 13enne aveva abortito.

Le analisi hanno scagionato totalmente il fratello, ingiustamente accusato. Il caso è stato poi affidato alla Procura di Modena, e in particolare al pm Katia Marino. È stata avviata un’indagine per violenza sessuale aggravata nei confronti del padre, che aveva il ruolo di pastore nella comunità modenese di ghanesi credenti. Gli inquirenti hanno anche scoperto che la bambina era spesso soggetta a violenze e vessazioni all’interno delle mura domestiche. Lei, la madre e il fratello sono stati allontanati dal padre e affidati a una comunità.

La sentenza e il commento di Daniela Santanchè: “Cercasi femministe indignate”

Pochi giorni fa, dicevamo, il giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Modena Eleonora Pirillo, a conclusione di un processo con rito abbreviato, ha condannato il padre dell’allora 13enne a sei anni e mezzo di carcere. Il numero di anni sono frutto di uno sconto di un terzo della pena, dovuto alla natura abbreviata del processo. Dal 2015 ad oggi, l’imputato si è sempre dichiarato innocente; la difesa ha sempre contestato l’esito dell’esame del DNA, e ha già annunciato il ricorso in appello contro la decisione del primo grado di giudizio.

Non sembra difficile “indignarsi” dopo un simile racconto, nonostante la Costituzione Italiana affermi che un “imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva” (art. 27). Eppure, la senatrice di Fratelli d’Italia Daniela Santanchè scrive su Twitter: “Non dovrebbero esistere sconti di pena per casi mostruosi come quello di questo ghanese! Sei anni e mezzo condanna ridicola! Cercasi femministe indignate…”, a voler quasi suggerire che c’è chi non si scandalizza di fronte a simili eventi. “Dove sono le femministe?”, si chiede la senatrice in un altro tweet. Daniela Santanchè sembra particolarmente interessata alle origini dell’uomo. In un altro tweet, datato 17 gennaio, la senatrice condivideva un’altra notizia simile commentando: “Chi picchia le donne, davanti ai figli poi, non è un uomo. Mi direte “lo fanno anche gli italiani”. Vero, proprio per questo non ci serve importare anche la spazzatura altrui, come questo marocchino”

La tragedia che ha dovuto sopportare questa bambina, il dolore di una famiglia che non avrà pace, la rabbia e l’indignazione che una vicenda simile deve suscitare, non dovrebbero forse andare oltre distinzioni etniche di sorta? Per quanto riguarda la condanna, si può essere d’accordo con la senatrice, forse sei anni e mezzo sono pochi. In alternativa, si può avere fiducia nel sistema giudiziario, che attraverso l’iter dei gradi di giudizio saprà prendere una decisione appropriata e proporzionata al reato. I sei anni e mezzo sono una sentenza di primo grado, perciò dovremo aspettare la decisione definitiva prima di poterci fare un’idea sull’adeguatezza della pena.

Di A.C.

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