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Brucia bandiera arcobaleno, condannato a 16 anni di carcere

È successo in Iowa, USA. L’uomo è stato condannato per aver dato fuoco alla bandiera simbolo della comunità LGBT.

Uno strip club, la comunità LGBT, un accendino e una condanna a più di 15 anni. Quattro cose di per sé sconnesse, ma che segneranno i prossimi sedici anni e mezzo di Adolfo Martinez, 30 anni, che lo scorso 11 giugno ha dato fuoco a una bandiera arcobaleno, dopo averla staccata dalla facciata della Chiesa Unita di Cristo di Ames, in Iowa. Cacciato dallo strip club “Curve Pericolose”, occasione durante la quale era anche stata allertata la polizia per via delle minacce da parte di Martinez, l’uomo si è diretto verso la chiesa e ha preso la bandiera arcobaleno, simbolo per eccellenza della pace, dell’accoglienza e anche delle lotte per i diritti alla comunità LGBT. Martinez è poi tornato di nuovo allo strip club dove ha dato fuoco al drappo e ha minacciato di fare lo stesso con il locale. È stato arrestato poche ore dopo.

In stato di arresto e interrogato dalla stampa, Martinez non ha negato le sue azioni e anzi ha confermato le accuse. “È stato un onore farlo. È una benedizione del Signore”, e ha aggiunto che ha bruciato la bandiera perché lui è “contro l’omosessualità”. Le dichiarazioni rilasciate ai microfoni di KCCI-TV sono state usate durante il processo come prova contro di lui. Adolfo Martinez è stato condannato poche ore fa per crimine d’odio, la prima condanna di questo genere nella storia dello stato americano.

Più di sedici anni per aver bruciato una bandiera possono sembrare tanti, troppi. Lo sembrerebbero, forse, anche per chi si macchiasse di vilipendio alla bandiera, e cioè la profanazione del simbolo nazionale per eccellenza. L’uomo, invece, dovrà scontare 15 anni per crimine d’odio, un anno per uso sconsiderato del fuoco, e 30 giorni per molestie. A chi ha giudicato la pena come troppo severa, ha risposto il pastore della Chiesa Unita di Cristo di Ames, Eileen Gebbie, donna e omosessuale dichiarata. È proprio lei a spiegare ai più titubanti che la sentenza non deriva solo dal crimine d’odio, ma anche dal fatto che Martinez fosse un “criminale abituale”. “In Iowa – ha spiegato Gebbie – le pene aumentano e le sentenze si sommano”. Inoltre, “è un criminale violento. Per via della sua natura e delle sue precedenti condanne in Iowa, Missouri e Texas, il giudice ha creduto che Mr. Martinez avesse bisogno di tempo per riabilitarsi e che la comunità dovesse essere protetta. Mr. Martinez era d’accordo”.

Durante tutto il processo, e a maggior ragione adesso che Martinez è stato condannato, il pastore Gebbie e la Chiesa si sono espressi a favore di un dialogo con lui e si sono resi disponibili ad aiutare la sua famiglia. “Mi interessa di più costruire una connessione umana con Mr. Martinez, non una cella intorno a lui – ha detto ancora Eileen Gebbie -. Ad ogni modo, dopo aver sentito la violenza delle sue parole e dei suoi gesti, e dopo aver ascoltato la sua volontà di tornare a essere violento, la prigione sembra totalmente giustificata. Nel frattempo, continuerò a cercare opportunità di ricostruire con Mr. Martinez”.

Di A.C.

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