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A Sanremo il festival dei sentimenti tra rap e ’80

 I sentimenti. Sempre loro. Quelli che si prendono Sanremo e lo monopolizzano. Che sia l’amore, a volte felice a volte no, per il partner (Enrico Nigiotti, Diodato, Le Vibrazioni, Riki), quello per la madre (Giordana Angi), un figlio (Paolo Jannacci) o il nipotino che da poco si è affacciato alla vita (Piero Pelù). La legge del festival colpisce anche quest’anno e fa niente se il mondo va a rotoli, tra gas serra che ci soffocano e guerre alla porta di casa che sembrano poter esplodere da un momento all’altro. All’Ariston, come da tradizione, è sempre la rima cuore-amore a farla da padrona per almeno metà delle 24 canzoni in gara. L’altra metà si divide tra riflessioni sull’attualità (Rancore e Junior Cally), su se stessi (Marco Masini, Irene Grandi, Rita Pavone), sulla diversità (Levante) e sulla difficoltà di rapportarsi ad un mondo che ci vorrebbe tutti omologati e schiavi del pensiero unico (Michele Zarrillo e il grido generazionale lanciato da Anastasio). “Il Festival è tante cose insieme: show, varietà, ospiti. Ma il clou sono le canzoni. E sono contentissimo dei brani selezionati – rivendica Amadeus, conduttore e direttore artistico. Racconta che non ha usato il bilancino nella scelta dei generi musicali (né tantomeno in quello delle quote azzurre o rosa), “ma sono andato su brani che ritenevo forti e che avessero le caratteristiche per durare nel tempo”.

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