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A London King’s Cross le telecamere che sanno chi sei

Riporta oggi il Financial Times che nella stazione londinese sono in uso telecamere dotate di sistema di riconoscimento facciale. Un dibattito tra privacy e sicurezza.

Il Grande Fratello ti guarda e da oggi ti riconosce pure, soprattutto se sei di passaggio alla stazione londinese di King’s Cross. Riporta questa mattina il Financial Times che in una delle stazioni più frequentate di Londra sono state installate alcune telecamere di sicurezza dotate di un sistema di riconoscimento facciale. Un vantaggio enorme in termini di sicurezza, ma un dettaglio problematico dal punto di vista della privacy. L’area di King’s Cross si estende per oltre 270mila metri quadrati, attraversati annualmente da quasi 34 milioni di persone. La stazione si trova vicino al quartier generale britannico di Google, alla sede centrale del Saint Martins College e a un passo da scuole da centinaia di negozi. Un portavoce della stazione spiega che “Queste telecamere utilizzano una serie di tecnologie per individuare e tracciare le persone, incluso un sistema di riconoscimento facciale. Ma hanno anche sofisticati sistemi atti a proteggere la privacy del pubblico”. I dubbi sulla legittimità di questi sistemi però sono ancora forti. Che ne è delle persone che voglio sottrarsi al riconoscimento facciale, preferendo l’anonimato per qualunque innocuo e legittimo motivo? E se quei turisti in fila per vedere il celeberrimo Binario 9¾ della saga di Harry Potter non apprezzassero il fatto di essere squadrate e riconosciute attraverso i loro lineamenti facciali? Non c’è modo di dare il consenso a un simile controllo, ma nemmeno di evitarlo.

A King’s Cross potrebbe presto fare eco la stazione di Canary Wharf, una delle stazioni più sorvegliate da telecamere e anch’essa al centro di una fitta rete commerciale che include Barclays, Credit Suisse e HSBC, che insieme attraggono ogni giorno il passaggio di circa 140mila persone, più di 50 milioni l’anno. Come si diceva, sotto la lente dei motivi di sicurezza e ordine pubblico non c’è alcuna critica da muovere. Non fa scandalo il fatto che la Polizia di Londra utilizzi sistemi di riconoscimento facciale per individuare in tempo quasi reale la posizione di pericolosi criminali. Un po’ meno comprensibile è che, per esempio, lo stesso metodo sia utilizzato da alcuni supermercati, nel bel mezzo di una tendenza che diventa sempre più diffusa: quella di sapere esattamente chi sta facendo cosa. Sul sito di “Caught on Camera”, una realtà che si occupa di vendere, progettare e installare telecamere di sorveglianza, è stato pubblicato uno studio secondo cui nella sola Londra sono presenti 500mila telecamere di sorveglianza, una ogni 16 abitanti. Secondo il Financial Times il numero scende a 420mila, quasi una ogni 20 londinesi. Si tratta di sistemi per la maggior parte datati, ma che presto potrebbero essere collegati a Internet (quindi hackerabili e accessibili da remoto) e dotati di un sistema di riconoscimento facciale. Una mania di controllo che può nascere dai migliori principi, ma rischia davvero di diventare una versione del libro di Orwell in cui nessuno vorrebbe trovarsi protagonista.

Apple e Facebook ci hanno già abituati al riconoscimento facciale. Scattare una foto con un iPhone o pubblicarla su Facebook innesca un meccanismo di riconoscimento della persona nella foto che di primo impatto potrebbe essere presa come una bella comodità. Le tecnologie di riconoscimento facciale non servono solo per identificare una persona al suo solo passaggio; gli algoritmi possono anche leggerne lo stato d’animo dalla posizione dei micro-muscoli del viso, i suoi pensieri dalla tensione della pelle, le sue intenzioni dai movimenti delle labbra. Una consapevolezza che desta dubbi e perplessità, soprattutto se si tiene presente che condizione necessaria per il funzionamento di un simile sistema è che esista un database di immagini con cui comparare ciò che viene ripreso dalle telecamere. Insomma, un dossieraggio facciale a cui è difficile opporsi. Un articolo del Guardian racconta che in Cina questa tecnologia viene usata per schedare i cittadini in base all’etnia, ma anche nelle scuole per assicurarsi che tutti gli studenti siano attenti e che i loro tratti facciali non tradiscano la loro noia in classe. L’anonimato è ormai un mito che ci siamo lasciati alle spalle anche in Occidente, in modo più o meno consapevole. Resta solo da sperare che le leggi si adattino in fretta nella direzione della tutela dei cittadini, perché per ora la questione resta in un’area grigia di legalità, fertile per tutti coloro che possono trarne un vantaggio personale vendendo e utilizzando una tecnologia sempre più invadente.

 

Di A.C.

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