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40 anni dopo il rapimento di Aldo Moro: la prima fase del sequestro

Il 16 marzo del 1978 alle 9:05 le Brigate Rosse rapiscono Aldo Moro all’incrocio tra via Fani e via Stresa.

Cosa è successo prima di quel tremendo agguato che ha segnato la storia della Prima Repubblica Italiana?

Quel 16 marzo alle 7, i membri delle Brigate Rosse, Valerio Morucci e Franco Bonisoli fanno colazione nell’appartamento di via Chiabrera. Il loro “ufficio”. O forse è meglio chiamarlo il loro covo. Poi indossano le divise da aviere che aveva acquistato settimane prima la brigatista Adriana Faranda. Nel frattempo, Raffaele Fiore è nella base di via Montalcini.

Alle 7:45 inizia l’azione. I brigatisti sono entrati in auto e, mappa alla mano, vanno a prelevare la loro vittima.

Le due scorte non sanno cosa li attende. Aldo Moro non sa che si sta pericolosamente avvicinando l’inizio della fine. Gli uomini a bordo dell’Alfetta si versano ancora un caffè. Stanno parlando degli spostamenti della giornata. Prima l’università La Sapienza, poi la Camera dei Deputati. Non sanno che stanno per essere le vittime dell’”Operazione Fritz”. Così i brigatisti avevano ribattezzato la loro azione più celebre.

Tutto è stato pianificato nei minimi dettagli. La brigatista Adriana Faranda racconta delle varie inchieste preliminari. Nella fase preparatoria, I brigatisti si sono trovati davanti a tre alternative. Qual era l’obiettivo migliore per colpire lo Stato?

Quale sarebbe stato l’imputato per il loro “contro processo”?

Sì, contro processo. Il 9 marzo 1978 era iniziato a Torino il processo al nucleo storico delle Brigate Rosse. Ma i terroristi non sono d’accordo. Non sono loro a dover subire un processo. È lo Stato che deve essere processato.

Le possibilità sono Amintore Fanfani, Aldo Moro e Giulio Andreotti. Fanfani viene scartato quasi subito: troppo lontano dai giochi per essere rilevante. Andreotti è “l’uomo del potere”, come lo ha definito Adriana Faranda. Dunque no. Le Brigate Rosse vogliono l’intelligenza dietro a quel potere. Vogliono Aldo Moro.

La prima ipotesi era stata quella di rapirlo mentre si trovava nella chiesa di Santa Chiara a Roma. Lì entrava con solo due uomini della scorta. Gli altri aspettavano fuori. Sarebbe stato tutto semplice, rapido e indolore. I brigatisti lo avrebbero prelevato senza neanche sparare alla scorta.

 

Problema: la chiesa però si trova in punto troppo di passaggio.

Lì vicino ci sono scuole, vigili urbani, passanti. La calma piatta potrebbe trasformarsi troppo velocemente in una mattanza di civili. Non si possono rischiare vittime innocenti. Solo i porci capitalisti devono pagare. Gli altri devono rimanere fuori.

Così viene scelto un luogo più isolato. L’incrocio tra via Fani e via Stresa è perfetto. Lo conferma Adriana Faranda in un’intervista: “Sì, perché lì c’era lo stop, con poco traffico e abbastanza visibilità per veder arrivare le auto, senza scuole e senza folla. È un calcolo da guerra, che valuta cinicamente il rischio e il successo di un’azione: ma è così”.

Adesso però sorge il problema della scorta. Il cambio di luogo implica che ci saranno tutti gli uomini della scorta. Il loro destino ormai è scritto. Ci sono state obiezioni, ma vane. L’azione ormai è stata programmata in ogni minimo dettaglio. Nulla deve essere lasciato al caso.

Alle 8:05 l’auto di Aldo Moro, insieme alla scorta, lascia la casa di Via del Trionfale 79.

Non sa che quella sarà l’ultima volta. Alle 9:02 l’agguato. Viene utilizzata la tecnica a cancelletto, già impiegata dalla Rote Armee Fraktion nel 1977 durante il rapimento Schleyer. La macchina di Moretti si mette davanti all’auto di Moro e, giunta all’incrocio, si arresta di colpo in mezzo alla strada.

La 130 con all’interno Aldo Moro si ferma dietro all’auto di Moretti, trovandosi bloccata dall’Alfetta della scorta, che la stava seguendo a breve distanza. La macchina di Moro e quella della scorta sono quindi intrappolate dalla 128 di Lojacono e Casimirri, che si mette di traverso dietro l’auto della scorta di Moro.

A questo punto entra in azione il gruppo di fuoco. Sono i quattro uomini con indosso le uniformi dell’Alitalia. Sono Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Raffaele Fiori e Prospero Gallinari. Gli stessi, che si battevano perché gli Stati Uniti abolissero la pena di morte, aprono il fuoco sui cinque uomini della scorta di Moro. Non ci sarà nessun superstite.

A questo punto, Aldo Moro viene prelevato dalla sua auto e caricato su quella delle Brigate Rosse. Inizia la fuga.

Una volta giunti davanti all’Istituto Don Orione, i brigadisti trasbordano Moro su un furgone parcheggiato in via Bitossi. Poi l’ennesimo spostamento nel parcheggio sotterraneo dei magazzini Standa. Moro, chiuso all’interno di una cassa, viene spostato in un’altra auto. Infine, arriva in via Montalcini 8, vicino alla Portuense. È arrivato a quella che sarà la sua prigione.

Questo è solo l’inizio di 55 giorni che terranno sotto scacco il nostro paese come nulla prima d’ora. Perché prima le Brigate Rosse avevano gambizzato, avevano compiuto rapine. Ma non avevano mai rapito un figura chiave per il futuro del paese come Aldo Moro. Proprio mentre si cercava di raggiungere un compromesso tra le due forze del paese, loro sono arrivati per cambiare le carte in tavola. Perché vogliono purificare uno stato corrotto dal capitalismo.

Vogliono realizzare un mondo di eletti.

Per realizzare questo ambizioso obiettivo non esistono mezzi termini e zone grigie. O con loro o contro di loro. Aldo Moro è contro di loro. Per questo deve essere eliminato. Loro stanno agendo per il bene comune, anche se il paese non lo sa. Hanno molti fiancheggiatori e regolari, questo è vero, ma in tanti li temono. I telegiornali sono un continuo bollettino di guerra. Persone rapite, persone gambizzate e rapine a mano armata. Ma le Brigate Rosse pensano di essere nel giusto. Solo che il popolo è così corrotto che ancora non lo sa.

Il rapimento Moro è l’ennesimo gesto che le Brigate Rosse compiono per amore del loro paese. Perché come disse Mara Cagol, fondatrice del gruppo, quando le chiesero perché la lotta armata. “Ci chiederete se questi sono i mezzi da utilizzare. Credetemi, non ce ne sono altri.”

B. P.

 

 

 

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