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Pericolosa moda il #Sexting: quando la condivisione diventa mania

Il crescente utilizzo, da parte degli adolescenti (ma non solo), dei social network ha favorito la smaterializzazione dei rapporti interpersonali. Sembrerà banale ripeterlo, ma è quanto accade in questi anni segnati da una nuova forma di egocentrismo: internet non è più solo uno spazio di condivisione di opinioni, di momenti della propria giornata, ma sembra essere diventato una vetrina in cui esporre sé stessi. Un processo inverso rispetto al momento storico in cui si difendeva il diritto alla riservatezza, che ci porta a scontrarci con fenomeni dannosi per l’intera collettività, come il sexting (sex, sesso e texting, pubblicare un testo).

Rientrano nella pratica sexting l’invio, la ricezione e la condivisione di immagini sessualmente esplicite. Si tratta di immagini prodotte e inviate mediante gli strumenti di comunicazione che utilizziamo quotidianamente: un cellulare, un computer. Le immagini, una volta prodotte, vengono inviate come mms o tramite bluetooth, oppure condivise su chat e siti. Spesso chi li riproduce non valuta i rischi connessi a questa pratica: le immagini potrebbero, infatti, essere ulteriormente diffuse da chi le ha ricevute. Si ha probabilmente l’illusione di poter contare sul buon senso del destinatario o sulla possibilità di eliminare il post in qualsiasi momento. Tuttavia, spesso è proprio la persona di fiducia che ha ricevuto l’immagine sessualmente esplicita a inoltrarla ad altri, innescando un circolo inarrestabile che, una volta avviato, rende inutile la cancellazione del post. I rischi sono allarmanti e vanno dalla possibilità di finire ricattati a quella di attirare adescatori.

Anche chi conserva queste immagini si espone a rischi, pur senza condividerle con altre persone: chi conserva sul proprio computer immagini sessualmente espliciti riguardanti un minore può essere accusato del reato di diffusione o detenzione di materiale pedo-pornografico. Va però dato atto di una sentenza (sent. n. 11675 del 21 marzo 2016) della Corte di Cassazione, III sez. penale, nella quale i giudici hanno affermato che non si configura il delitto di cessione di materiale pedopornografico quando un soggetto trasmette ad altri immagini riprese in autoscatto direttamente dal minore e quando sono cedute dallo stesso volontariamente. L’art. 600-ter del codice penale, infatti, punirebbe soltanto il materiale pornografico formato attraverso l’utilizzo strumentale dei minori ad opera di terzi. Il reato di detenzione di materiale pedo-pornografico, invece, riguarda chi consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori. In queste situazioni è quindi molto importante la concreta verifica della sussistenza del dolo del delitto: sussistenza che si determina quando l’agente è certo della minore età dei soggetti rappresentati nel materiale detenuto o procurato, nonché della natura pornografica dello stesso.

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