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Da Cona all'hub di via Mattei: “Cona non è Italia”

BOLOGNA – “Qui è bello, mi piace e mi sento sicuro perché c’è sempre la polizia.Ma Cona non è Italia“. A parlare un nigeriano di 37 anni; uno dei cento richiedenti asilo che mercoledì il Viminale ha deciso di spostare dal centro veneto all'Hub di via Mattei. Qui si attende una collocazione in una struttura di seconda accoglienza in Emilia-Romagna.
L'uomo, arrivato con la moglie 25enne dopo aver perso la figlia con una bomba ad Abuja, lavorava come operaio della compagnia petrolifera Chevron.”Simo risaliti via terra attraverso il Niger fino in Libia – racconta –. Là ci hanno preso tutti i soldi, incarcerati due mesi e chiesto una cauzione». Il viaggio costato 600 euro a testa li ha poi condotti a Cona.Si sono susseguite notti al freddo in maxi-tende da centinaia di posti, senza un'adeguata assistenza medica né poliziotti.”C’era gente là dentro da otto mesi o un anno – racconta – Nessuno sapeva quando ci avrebbero trasferito. Uno degli addetti, di colore, mi aveva consigliato di andarmene perché non avremmo mai avuto il permesso di soggiorno. Sandrine (l’ivoriana deceduta a 25 anni) non sarebbe mai morta se l’avessero trasferita. Mia moglie la conosceva, le faceva i capelli”.
Poi, il trasferimento. L'Hub, per la prima volta dal 2014, apre le porte alla stampa. Con Cona ha poco a che vedere.Si tratta di un'ex caserma che da bando ospita 275 migranti, in camere da 3 a 9 posti letto.Altri 300 vivono nei container arrivati da Padova.Sono spazi da 8 a 16 letti con bagni privati, split per il riscaldamento e l'aria condizionata.Fino a poco tempo fa, al posto dei container c'erano le tende, delle quali rimangono solo due tensostrutture riscaldate che fungono da spazi comuni e da alloggi per i giorni prima della ripartenza.Sono arrivati in cento da Cona:la metà che non è stata ritrasferita subito dopo le cure mediche attende a causa della scarsa documentazione disponibile, compresa quella medica, come la coppia nigeriana.

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