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Calcio – Vittorio Calvani: Latina-Palermo, sfida imprevedibile

Latina – Correndo su e giù per la fascia in serie A con le maglie di Palermo e Genoa, un passato in B anche con Reggiana e Livorno, ma col passaporto nerazzurro: nato a Latina, dove risiede tuttora, è stato uno dei migliori giocatori del vivaio pontino. Nel campionato '66/67 ha vestito la maglia nerazzurra in serie C: 29 presenze ed un quarto posto in classifica prima di spiccare nuovamente il salto nella serie cadetta. Latina e Palermo, due città nel cuore: a lui il pronostico della supersfida di sabato tra la prima e la seconda della classe.
“Sarà grande sfida, da non perdere. Si affrontano le due migliori formazioni del campionato. Da una parte il Palermo che, dopo una partenza altalenante, ha trovato equilibrio e continuità di risultati meritando il primo posto, dall'altra una terribile matricola come il Latina che, pagato lo scotto iniziale con una partenza incolore, ha trovato coesione inanellando una serie incredibile di risultati utili. Il pronostico? Sulla carta viene spontaneo pensare che il Palermo ha maggiori credenziali, ma non sarà così: ricordatevi all'andata dell'impresa nerazzurra. Certo, era un altro Palermo, ma è anche vero che ormai il Latina ha dimostrato di non dover temere nessuno. Hanno le stesse possibilità di vittoria: è una gara senza pronostico, imprevedibile, può succedere di tutto. Il Palermo è un rullo compressore, ha individualità da serie A, ma il Latina è una squadra compatta in ogni reparto, prende pochi gol, fatta eccezione per l'episodio di Modena, ha grande coesione, una difesa esperta con un ottimo Iacobucci, un centrocampo che macina chilometri e davanti un attacco cinico con quel Jonathas in una delle sue migliori stagioni di sempre”. Quella di Vittorio Calvani è stata una carriera di tutto rispetto: 82 presenze in A, 148 in B con cinque stagioni al Livorno, maglie gloriose indossate come grandi compagni di squadra il cui ricordo è sempre vivo. Nella stagione '61/62 a Palermo faceva infatti coppia in difesa con un certo Tarcisio Burgnich.
“Iniziamo subito nel dire che Palermo è stata la città che mi è rimasta più nel cuore di tutti, anche perchè ha bagnato il mio esordio in serie A. Una piazza calcisticamente bellissima, ricordo che ogni domenica lo stadio era sempre pieno. E poi Palermo è una città meravigliosa. Quel primo anno c'era un giovane Tarcisio Burgnich che allora era con la nazionale militare: io giocavo fluidificante sulla fascia, lui era il classico terzino marcatore, un vero mastino. Inizialmente era chiuso in squadra da Sereni, l'attuale papà del portiere …., che poi si infortunò lasciandogli il posto: da allora Burgnich divenne titolare. Ricordo una nostra storica vittoria contro la Juventus di Sivori e Charles vincemmo a Torino per 4-2 ed il terzo gol lo segnò proprio Burgnich che poi Italo Allodi riportò all'Inter”.
Già, l'Inter che avrebbe voluto anche Calvani in nerazzurro negli anni sessanta
“Dovevo fare un provino con l'Inter in un'amichevole contro il Fluiminense, ma per una infezione al piede saltai la gara e non se ne fece più nulla”.
Però anni dopo un altro pontino prese la strada dell'Inter: Spillo Altobelli…
“Voglio svelare una cosa che nessuno sa: sento molti che si prendono la paternità del passaggio di Spillo all'Inter, invece vi racconto io come stanno le cose. A Latina doveva svolgersi un quadrangolare giovanile con Juventus, Brescia, Pescara e Latina. Il Brescia era allora allenato da Mauro Bicilli, ex ala dell'Inter, che era stato mio compagno in serie A col Genoa. In quell'occasione la squadra bresciana alloggiava da me al Garden Hotel: Bicilli mi chiese informazioni tecniche sul giovane Altobelli. Gli risposi che era un giovane con enormi potenzialità ma che il Brescia doveva sbrigarsi per chiudere la trattativa perchè su di lui c'erano già gli occhi della Lazio. Quando il Latina stava per cedere il cartellino di Altobelli, consigliai alla dirigenza nerazzurra di cederlo solo in comproprietà e non a titolo definitivo, perchè la società avrebbe guadagnato di più se poi il giovane sarebbe esploso. Non ascoltarono il mio consiglio e cedettero Altobelli per pochi milioni: quando invece il Brescia lo vendette all'Inter guadagnò una cifra esorbitante a quell'epoca. Ah, se mi avessero ascoltato! Anche Federico Caputi fu segnalato da me all'allora osservatore Mariotti del Livorno che lo portò successivamente poi al Monza”.
Tra i suoi compagni al Genoa in serie A un certo Gigi Meroni…
“Che grandi ricordi: un vero genio del pallone. Un vero personaggio. Quando eravamo in ritiro dormivamo nella stessa stanza. Aveva un estro fuori dal comune: sarebbe diventato uno dei più grandi calciatori di sempre, ma il destino era in agguato. In campo palla al piede era un vero funambolo: in una partita contro la Fiorentina mise a sedere più di una volta Giacinto Facchetti. Ricordo che era davvero stravagante: aveva lanciato la moda dei capelli lunghi, usciva con zoccolacci e senza calzini, chi non lo conosceva pensava che fosse un mendicante. Ricordo che una volta in ritiro la reception dell'hotel non lo voleva far entrare perchè convinta che fosse un mendicante per come era vestito. Ho visto la fiction l'anno scorso su di lui: mi sono tornati alla memoria molti momenti passati insieme, anche se la ricostruzione del film aveva alcune inesattezze soprattutto del periodo trascorso a Genova”. Con la maglia rossoblu dei grifoni c'erano in squadra con lei anche Aldo Agroppi, Massimo Giacomini, Gianfranco Zigoni… “Agroppi dimostrava già da giovane il suo caratteraccio toscano: non la mandava a dire a nessuno come poi avete visto quando è diventato commentatore. Giacomini ha avuto poi una buona carriera come allenatore, è stato anche sulla panchina del Milan, poi in Federazione, ora l'ho perso di vista. Zigoni? Un fantasista tutto mancino: ha detto che suo figlio oggi sarebbe un campione con i suoi assist. Ma voglio ricordare tra i miei compagni anche Gigi Martini al Livorno, un vero istrionico, oggi politico, che poi alla Lazio fece faville con un altro personaggio come Re Cecconi”.
E un avversario che lo ha fatto patire?
“Sicuramente Hamrin: imprendibile, non stava mai fermo, ti faceva ammattire per tutti i novanta minuti. Allora la marcatura era ad uomo: contro di lui non avevi un attimo di tregua. E se gli lasciavi un metro in area ti fulminava. Poi come non ricordare un gigante come John Charles o un talento strepitoso come Omar Sivori che fecero le fortune della Juventus. Senza dimenticare che miei avversari sono stati anche campioni del calibro di Rivera, Altafini, Suarez, Corso, Angelillo, Sormani…”.
Altro calcio o sono solamente diverse le epoche?
“Sicuramente era un calcio più tecnico rispetto a quello odierno dove le componenti agonistica, fisica e atletica sono diventate predominanti. E poi è cambiata la tecnologia: dateci allora i palloni di oggi o gli attuali scarpini vellutati. Ai miei tempi il pallone quando pioveva diventata una sfera medicinale: gente come Nordahl , Piola, Meazza, Valentino Mazzola lo farebbero esplodere questo pallone di oggi. Sicuramente adesso il recupero da un infortunio è più rapido: dopo tre giorni dal menisco torni già in campo, ai miei tempi ti ingessavano la gamba e se ne parlava pure per sei mesi. Ma è anche vero che, rispetto ad oggi, c'erano meno infortuni ai miei tempi: i muscoli erano veri, allenati con la corsa e si richiedeva al fisico quello che effettivamente poteva dare, oggi si va oltre la soglia delle proprie effettive possibilità fisiche e non è un bene”.
Un altro pontino oggi sta bruciando le tappe: il portiere Mattia Perin.
“Con quella che è stata anche la mia maglia, il Genoa. E' un ragazzo che ha visto premiati i suoi sacrifici quando era ancora un giovane promettente: al Nuovo Latina era sempre l'ultimo ad uscire dall'allenamento. E' assistito da un buon procuratore come Moreno Roggi, è molto considerato oltre che dalla società anche dalla stampa: ha tutte le premesse quindi per diventare un vero numero uno. Ora dipende solamente da lui: deve continuare con la stessa umiltà, con la stessa serietà dentro e fuori il campo. La modestia paga anche nello sport: io da calciatore mi vergognavo perfino a firmare un autografo….”.
Per gentile concessione di Marco Tosarello

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