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Natale De Grazia: morte naturale o avvelenamento?

“Edizioni Oggi” porta avanti l’inchiesta incentrata sulle cosiddette “navi dei veleni”, in particolare la “Jolly Rosso”, e sulle morti connesse a questa drammatica vicenda, fra le quali spicca quella dell’ufficiale incaricato dalla Procura di svolgere indagini sullo spiaggiamento della motonave della società Messina di Navigazione e di diverse altre.
Ci sono voluti ben 18 anni perché il capitano di corvetta Natale De Grazia fosse ufficialmente riconosciuto come “vittima del dovere” dal ministero della Difesa. Un riconoscimento concesso ai pubblici ufficiali deceduti nell’adempimento delle loro funzioni a causa della criminalità organizzata o del terrorismo. L’avvenimento comporta una domanda di rito: Natale De Grazia è morto per cause naturali, oppure è stato ucciso? Un quesito che ricorre da quando il capitano è scomparso, il 12 dicembre 1995 e che oggi si ripropone con nuove contraddizioni.
Natale De Grazia è morto durante un viaggio di lavoro a Nocera Inferiore, mentre si dirigeva in compagnia di due carabinieri a La Spezia, dove doveva interrogare alcuni membri dell’equipaggio della “Jolly Rosso”. Aveva consumato un pasto veloce in un autogrill sull’autostrada, per poi accusare improvvisi malori, finché un infarto lo ha stroncato. L’indagine gli era stata assegnata dal procuratore capo di Reggio Calabria Francesco Scuderi. Alla famiglia aveva detto che sarebbe stato il suo ultimo incarico e che aveva raccolto abbastanza indizi e prove per concludere il caso.
La perizia svolta dal medico incaricato dell’Università La Sapienza di Roma nel 2011 (per conto della Commissione Bicamerale d’Inchiesta sui rifiuti tossici) parla di “causa tossica”, mentre la Procura di Nocera Inferiore il decesso è dovuto a cause naturali e ha conseguentemente richiesto l’archiviazione delle indagini. Non pochi, soprattutto i membri dell’Associazione Natale De Grazia, definiscono il tutto come “un paradosso di Stato”.
Il corpo fu sottoposto ad autopsia solo dopo una settimana dal decesso e presso l’ospedale di Reggio Calabria, anziché Nocera Inferiore dove era deceduto. Agli esami autoptici non è stato concesso di assistere al consulente medico della famiglia che chiese di ripetere gli esami. La seconda autopsia fu assegnata allo stesso perito che condusse la prima e i risultati di questi ulteriori esami, che confermarono ovviamente i dati della prima, furono trasmessi alla famiglia dopo circa dieci anni.
Di fatto, con la morte di De Grazia, le indagini sulle “navi dei veleni” subiscono una battuta di arresto e la verità si allontana, forse per sempre.
Il dossier messo insieme dal capitano De Grazia è contenuto nei fascicoli dell’inchiesta giudiziaria sull’affondamento della nave “Rigel” e altri “navi a perdere” presso la procura di Reggio Calabria archiviata nell’anno 2000. Che De Grazia non sia morto per cause naturali è convinto soprattutto il giornalista Luciano Scalettari e, fra l’altro, è stato più volte ipotizzato che dietro il fenomeno delle “navi a perdere”  e quindi sulla morte del comandante De Grazia, possano essere stati coinvolti i servizi segreti deviati e poteri mafiosi.
Secondo gli investigatori, l’informazione è attendibile, in riferimento soprattutto alla misteriosa fonte chiamata “Pinocchio”, considerata vicina ai servizi segreti italiani. Una fonte che rimane anonima per ragioni di sicurezza e per la polizia giudiziaria che lavora all'indagine. Quasi fosse un infiltrato.
In base alle informazioni di questa fonte, e ad altri fatti, il pm di Reggio Calabria Francesco Neri e il pool di cui De Grazia faceva parte, iniziarono a indagare anche sulla nave russa “Latvia”, già unità del KGB.
Di seguito il testo integrale del verbale della perizia svolta sul corpo del capitano Natale De Grazia.
Ill.mo Signore
Signor Presidente della Commissione Parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti
On. Prof. Gaetano Pecorella
Ill.mo Presidente,
Le faccio pervenire la relazione finale della indagine di consulenza tecnica medico legale da me svolta su incarico della Commissione da Lei presieduta e relativa alla vicenda della morte del Capitano Natale De Grazia.
Gli accertamenti medico legali sono stati effettuati da una parte sulla base della documentazione acquisita agli atti e, dall'altra, sulla revisione dei preparati istologici a suo tempo allestiti su frammenti di visceri prelevati in occasione della autopsia effettuata sul cadavere del De Grazia e della successiva esumazione.
Nulla è stato possibile fare sul versante delle indagini tossicologiche forensi poiché non risulta che siano state conservate parte dei prelievi di liquidi biologici e di visceri che sembrerebbe siano stati fatti nel corso degli accertamenti necroscopici e utilizzati, all'epoca, per esami chimico tossicologici forensi.
Quindi sulla scorta del predetto materiale che avevo a disposizione ho svolto gli accertamenti medico legali all'esito dei quali posso proporre le seguenti considerazioni. Preliminarmente è opportuna una osservazione sugli accertamenti effettuati all'epoca della morte del Capitano De Grazia, disposti dapprima dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria in data 19 Dicembre 1995 e quindi dalla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore in data 23 Aprile 1997.
Come ho avuto modo di anticipare nella mia relazione preliminare, non posso che ribadire, ora, come gli accertamenti di natura medico legale, allora disposti, risultino condotti in maniera piuttosto superficiale con incomprensibili carenze e contraddizioni che rendono i risultati tutti incerti, poco affidabili e quindi non concretamente utilizzabili per gli scopi per i quali erano stati disposti. Scopi che erano stati indicati nella serie di quesiti posti al perito, sempre lo stesso nel primo e nel secondo accertamento, e che erano tutti finalizzati a chiarire, anche con l'ausilio della indagine tossicologica, la causa della morte del De Grazia. Più in particolare deve essere evidenziata la piuttosto evidente difformità tra il verbale di autopsia del CT del PM e quello del consulente della parte: nel primo il contenuto gastrico è riferito come costituito da alcuni cc di liquame blunastro mentre il CT della parte parla di un abbondante quantità di materiale alimentare parzialmente digerito, ed è evidente che sia più veritiera quest'ultima versione, essendo inconcludente l'affermazione della Dott.ssa Del Vecchio che lo stomaco era vuoto perché il Cap. De Grazia aveva vomitato poco prima della morte.; la CT del PM dice di un cuore con coronarie serpinginose, specillabili, con intima interessata da diffuse deposizioni ateromasiche intimali, mentre il CT della parte dice che nulla c'è alle coronarie, e probabilmente ha ragione lui visti gli esami istologici. E poi c'è, nella descrizione della seconda autopsia su cadavere esumato, la non attendibilità di un dato relativo ai prelievi di parti di visceri che verosimilmente dovevano essere putrefatti e, più sorprendentemente, di sangue che non poteva più esserci dopo una prima autopsia e dopo che erano trascorsi circa sedici mesi da quest'ultima. E tante altre cose ancora.
Insomma si trae quasi l'impressione che in questa indagine medico legale si sia badato più alla forma di particolari processuali privi di valore che invece alla sostanza della indagine in patologia forense che sembra del tutto trascurata nel rigorismo obiettivo e nella valutazione del significato patologico dei quadri autoptici.
E questo per quanto riguarda gli accertamenti autoptici ed istologici. Altro capitolo è quello degli accertamenti tossicologici per i quali non posso che riproporre le stesse considerazioni, condivise dal tossicologo forense della Medicina Legale di “Tor Vergata”, già fatte pervenire con la relazione preliminare che ora possono essere ritenute definitive. Sono state prese in esame le indagini chimico tossicologiche che, secondo l'allora CT del PM, dott.ssa Del Vecchio, sono state eseguite in due riprese: una in occasione della prima autopsia eseguita in data 19.12.1995 con contestuali prelievi; un'altra quando è stata fatta la esumazione del cadavere del Di Grazia in data 23.04.1997.
Prima ancora di entrare nel merito, appare opportuno segnalare una macroscopica contraddizione tra quanto riportato nelle tre relazioni di consulenza, riguardo al contenuto dello stomaco.
Nella prima relazione della Dott.ssa Del Vecchio, relativa all'esame autoptico da lei eseguito in data 19 dicembre 1995, si legge: “…..Stomaco contenente alcuni cc di liquame brunastro…”, mentre nella relazione di consulenza di parte, il Dott. Asmundo, presente all'esame autoptico, scrive: “….Nello stomaco abbondante quantità di materiale alimentare parzialmente digerito, d'aspetto cremoso e colorito giallastro-roseo nel quale sono riconoscibili frammenti di formaggio biancastro e carnei rosei-scuri…” . Nella seconda relazione, infine, relativa all'autopsia del 19 giugno 1997 (30 mesi dopo la prima!) la Dott.ssa Del Vecchio riporta che “….si poteva procedere al prelievo di quota parte di visceri (fegato, reni, polmoni, cuore milza, stomaco) di muscolo, di osso (vertebra, osso del bacino e costa) e di sangue per gli ulteriori esami di laboratorio…”.
Anche se le quantità di materiale biologico prelevato non vengono mai riportate, si deve ragionevolmente ritenere che il contenuto dello stomaco rinvenuto all'autopsia del 1997 non dovesse essere costituito solo da alcuni cc di liquame, come affermato nella relazione del 1995, perché su tale materiale sono state effettuati una serie di accertamenti chimico-tossicologici – ricerca dell'alcool etilico, ricerca dei cianuri, ricerca di altre sostanze ad azione farmacologica (barbiturici, benzodiazepine, antidepressivi, ipnotici e tranquillanti) – che necessitano di quantitativi di materiale non esigui.
Anche se solo parzialmente compreso nelle competenze tossicologico-forensi appare doveroso ricordare qui l'importanza del dato della presenza di cibo nello stomaco, in funzione, non solo delle valutazioni tanato-cronologiche, ma anche nell'identificazione del materiale ingerito, per un possibile riscontro con quanto dichiarato da eventuali testimoni. In quest'ottica, purtroppo, nessun prelievo e nessun accertamento è stato effettuato nel corso della prima autopsia e quelli relativi alla seconda hanno sicuramente scarso rilievo tossicologico in quanto, dato il tempo trascorso (30 mesi) sicuramente il materiale era interessato da profonde trasformazioni putrefattive.
Entrando nello specifico delle problematiche tossicologico-forensi, sul contenuto dello stomaco sono state effettuate analisi per la ricerca dell'alcol etilico, che, come è noto, è una sostanza particolarmente volatile. Appare pertanto sorprendente che, in un campione prelevato 30 mesi dopo il decesso, in uno stomaco che era stato aperto dopo la prima autopsia (il medico legale aveva visto pochi cc di liquame brunastro!) vi sia ancora la presenza, seppur in quantità esigua ma significativa (0,3 g/litro), di alcool etilico.
E tale dato è ancora più sorprendente se viene paragonato all'esito dello stesso accertamento effettuato sul sangue, sia quello prelevato nel corso dell'autopsia del 1995, sia quello (!!) prelevato nel 1997: in entrambi i campioni l'analisi da esito negativo (anche se nel campione del 1997 viene utilizzata la dicitura “non dosabile”).
Alla luce di tali risultati è verosimile che il consulente abbia confuso per alcol etilico il picco cromatografico di sostanze volatili di origine putrefattiva ovvero che l'alcol riscontrato sia esso stesso di origine putrefattiva. In questa seconda ipotesi, tuttavia, tracce di alcol sarebbero dovute essere presenti anche nel sangue.
Nel contenuto dello stomaco è stato effettuato anche un saggio colorimetrico per la ricerca della eventuale presenza di cianuri. Anche per questa sostanza vale quanto già detto per l'alcol etilico. Nello stomaco, in presenza di acido cloridrico, i cianuri si trasformano in acido cianidrico, sostanza particolarmente volatile e, come ricavabile dalla letteratura, se le analisi non vengono eseguite tempestivamente, è molto improbabile che possano essere rilevati.
Focalizzando l'attenzione sulle indagini chimico-tossicologiche relative ai prelievi effettuati nel corso dell'autopsia del 1995, così come desunte dalla relazione si può osservare quanto segue.
Le analisi descritte, ad eccezione della determinazione dell'alcol etilico, appaiono molto generiche e non in grado di determinare la presenza di eventuali sostanze tossiche, soprattutto se presenti in concentrazione non particolarmente elevate. L'unica tecnica impiegata dotata di qualche validità scientifica e quella RIA (radio immuno assay) impiegata per la ricerca di oppiacei e cocaina. Avendo fornito esito negativo è possibile escludere la presenza nel sangue e nella bile di oppiacei (particolarmente morfina) e cocaina. Tutte le altre tecniche descritte – la spettrofotometria U.V., cromatografia su strato sottile (TLC), l'estrazione secondo la tecnica di Stass-Otto, il metodo di Felby per la ricerca degli oppiacei – sono (e lo erano anche nel 1995) tecniche obsolete, dotate di scarsa o nulla specificità e/o sensibilità e che nessun tossicologo applicherebbe per l'accertamento di una eventuale intossicazione o avvelenamento. 
Sui liquidi biologici prelevati nel corso della prima autopsia non sono stati effettuati accertamenti per la ricerca dei principali veleni metallici (arsenico, tallio, ecc.) né di altre possibili sostanze tossiche, soprattutto quelle che possano agire a piccole dosi (cianuri, esteri fosforici, digitale, ecc.).
Sulla base di quanto sopra detto appare di tutta evidenza come le indagine sono state del tutto inappropriate dovendosi, per questo, concludere che, ai fini di chiarire se nel caso in discussione si è trattato di una intossicazione o un avvelenamento, le analisi allora effettuate sono del tutto inutilizzabili, restando insoluto l'interrogativo circa l'influenza di fatto tossico nel determinismo della morte Per quanto concerne le analisi effettuate sui liquidi biologici prelevati nel corso della seconda autopsia (1997), preliminarmente è doveroso evidenziare che, a causa del tempo trascorso dal decesso, il materiale era sicuramente interessato da gravi fenomeni trasformativi dovuti allo stato di putrefazione. In tali condizioni, qualsiasi accertamento risulta sicuramente compromesso dallo stato del materiale biologico che rende assai difficile l'identificazione di eventuali sostanze tossiche esogene.
Entrando nello specifico delle analisi eseguite, nonostante il quesito del Magistrato richiedesse “ulteriori” accertamenti chimico-tossicologici, in pratica i consulenti si sono limitati a ripetere analisi già effettuate, e non si comprende se sui prelievi della prima autopsia o su quelli, del tutto improbabili, della esumazione.
Ancora una volta sono state utilizzate tecniche obsolete e generiche (spettrofotometria U.V., cromatografia su strato sottile, saggi colorimetrici); la gascromatografia con rivelatore di massa, indispensabile in un laboratorio di tossicologia forense, è stata utilizzata solo per l'analisi del contenuto dello stomaco e di un omogeneizzato di visceri, trascurando gli altri campioni biologici. I tracciati relativi alle analisi mediante gascromatografia con rivelatore di massa non sono stati allegati alle relazioni peritali e, pertanto, non possono essere commentati.
In queste analisi, inoltre, le perplessità maggiori sono fornite dalle tecniche utilizzate per estrarre le eventuali sostanze tossiche dal materiale biologico: la tecnica è specifica e sensibile ma se l'estrazione non lo è altrettanto, l'analisi diventa inutile. Infine, l'abitudine ad analizzare omogenati di organi mescolati tra loro è assolutamente da censurare: un tossico presente in un solo organo viene “diluito” nella massa complessiva e può essere non più rilevabile (concentrazione inferiore al limite di rilevabilità del metodo).
Anche sul materiale prelevato (?) dal cadavere esumato sono state eseguite indagini mediante tecniche immunochimiche (RIA) focalizzate sulle due principali sostanze stupefacenti (oppiacei e cocaina). Ma se i liquidi biologici sono stati prelevati in tempi diversi ma dallo stesso cadavere, perché ripetere le stesse analisi che avevano già dato esito negativo?
L'analisi del materiale pilifero è superflua in quanto, nel caso in cui si fosse trattato di una intossicazione acuta (ad es. un avvelenamento), la morte sopravvenuta rapidamente avrebbe comunque impedito al tossico di raggiungere la matrice cheratinica. Affinché una sostanza dal sangue raggiunga il bulbo pilifero, venga inglobata nel capello nel momento in cui si sta formando, il capello fuoriesca dal cuoio capelluto e cresca quel tanto che basta per consentirne il taglio con forbici (in genere non si usa, se non per esperimenti scientifici, di rasare i capelli), è necessario un periodo temporale che può essere calcolato tra 15 e 30 giorni, periodo temporale incompatibile con l'ipotesi di una intossicazione acuta.
Nelle analisi su materiale pilifero, l'identificazione delle sostanze è possibile solo in caso di assunzioni ripetute, abituali o croniche quando le quantità presenti sono compatibili con la sensibilità della strumentazione utilizzata.
Anche per quanto attiene a questo secondo gruppo di analisi si deve ripetere quanto sopra detto a proposito delle prime, e cioè che sono del tutto inutilizzabili. 
Premesso quanto sopra, e preso atto della scarsa affidabilità degli accertamenti a suo tempo esperiti, ho ritenuto utile in questa sede un tentativo di approfondimento in ambito istopatologico essendo le inclusioni in paraffina e gli allestimenti dei vetrini l'unico reperto che è pervenuto utilizzabile dai precedenti accertamenti medico legali. Ho provveduto, pertanto, con l'assistenza della Anatomia ed Istologia Patologica dell'Università di Roma “Tor Vergata, alla revisione dei preparati istologici che ho acquisito nella sezione di Istologia dell'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Roma “Sapienza” e ad un ulteriore allestimento di vetrini anche con nuove e più specifiche tecniche di colorazione.
La lettura dei preparati così ottenuti ha permesso di obiettivare quanto segue: 
Cuore – Presenza di aspetti isolati in cui i miocardiociti assumono aspetto ondulato ed allungato (“a dune di sabbia”), talora con ipereosinofilia del citoplasma (miocitolisi coagulativa) come da processo coagulativo microfocale delle proteine e con quadri morfologici compatibili con bande da ipercontrazione, peraltro molto limitati e ristretti a piccoli segmenti.
Presenza di aspetti non conclusivi ma suggestivi per edema interstiziale. Presenza di congestione acuta vascolare. Presenza di modificazioni morfologiche dei miocardiociti riconducibili a fenomeni postmortali. La valutazione immunofenotipica (LCA, CD3) non ha evidenziato un aumento dell'infiltrato infiammatorio intramiocardico, come segnalato in letteratura nelle condizioni di morte improvvisa di tipo cardiaco, nella maggior parte dei pazienti.
Assenza di alterazioni significative dei vasi presenti nei vetrini esaminati NON si osservano, nei vetrini in esame: frammentazione terminale delle miocellule, anomalie nucleari riconducibili ad un danno ischemico, fibrosi interstiziale significativa, miocardioagiosclerosi, (“evidente sofferenza delle arterie di piccolo e medio calibro”…), aumento del grasso periviscerale (che appare nella norma laddove valutabile in maniera adeguata) significativo per patologia cardiaca congenita 
Si concorda con la valutazione istologica per gli altri organi, in particolare per l'intenso e diffuso edema polmonare e per l'altrettanto marcata congestione vascolare. La maggior parte delle alterazioni a livello dei vari organi sono peraltro di verosimile natura putrefattiva, fatta eccezione per la congestione vascolare. Dalla lettura di questi preparati istologici, in confronto con gli esami istologici fatti dal CT dott.ssa Del Vecchio si possono trarre queste conclusioni: Il quadro macroscopico descritto a livello del cuore esclude l'ipotesi di displasia aritmogena, tipica del ventricolo destro del cuore, non del sinistro NON è presente fibrosi interstiziale nel cuore NON è documentata in maniera certa una significativa coronarosclerosi che potrebbe giustificare una morte cardiaca improvvisa su base ischemica.
La descrizione macroscopica del cuore sembra indicare una degenerazione bruna del miocardio di tipo terminale, la cui genesi è riconducibile a svariate cause, non ultima il cuore polmonare acuto. 
CONCLUSIONI
Al termine delle indagine di consulenza tecnica che mi era stata affidata da Cotesta Commissione posso rilevare quanto segue.
Innanzitutto i limiti della presente indagine sono apparsi subito evidenti al momento in cui ci si è resi conto che, ad eccezione del materiale istologico, nessun reperto dei precedenti accertamenti era più disponibile per poter ripetere le analisi e magari per approfondirle in un' ottica più indirizzata ad individuare con sufficiente certezza la causa della morte del Capitano Natale De Grazia. 
Allo stato non è possibile reperire nuovi reperti da utilizzare con profitto dovendosi escludere che una eventuale, rinnovata esumazione della salma possa dare la possibilità di indagare sui temi che qui interessano e cioè quelli della causa della morte con particolare riferimento alla presenza di sostanze tossiche.
Non rimane che fare delle deduzioni sostenute dai pochi elementi di certa obiettività desunti dagli atti, tenendo anche conto di quanto acquisito nel corso delle audizioni delle persone che in qualche modo ebbero ad assistere nella circostanza della morte del Capitano De Grazia. Bisogna subito sgombrare il campo da un equivoco che sembra essersi creato nel percorso investigativo sulle cause della morte.
L'indagine medico legale condotta dalla Dott.ssa Del Vecchio si è conclusa con una diagnosi di morte improvvisa dell'adulto, facendo intendere che vi fossero in quel quadro anatomo ed istopatologico elementi concreti che potevano ben sostenere detta diagnosi. Questo non corrisponde alla verità scientifica.
Ho poco sopra evidenziato come la lettura dei preparati istologici effettuata in questa sede smentisca quella della dott.ssa Del Vecchio, la quale ha ritenuto di cogliere, nella sua indagine anatomo ed istopatologica, elementi deponenti per un preesistente danno miocardico di cui sarebbe stato portatore il Capitano De Grazia; danno che poi è stato utilizzato per sostenere la morte improvvisa dell'adulto. 
Questo significa che, allo stato, non c'è nell'intera indagine alcun dato certo che possa supportare la morte improvvisa dell'adulto; diagnosi causale di morte, questa, che deve essere ritenuta non provata e nemmeno connotata da apprezzabili probabilità. Se noi qui dobbiamo fare una conclusione al termine di questa indagine dobbiamo dire che il Capitano De Grazia non è morto di morte improvvisa mancando qualsivoglia elemento che possa in qualche modo rappresentare fattore di rischio per il verificarsi di tale evento. Si trattava infatti di soggetto in giovane età, in buona salute, senza precedenti anamnestici deponenti per patologie pregresse, che conduceva una vita attiva e, come militare in servizio, era sottoposto alle periodiche visite di controllo dalle quali non sembra siano emersi trascorsi patologici. E per altri versi l'esame necroscopico, al contrario di quanto è stato prospettato attraverso una analisi non attenta e piuttosto superficiale dei reperti anatomo ed istopatologici, non ha evidenziato nessuna situazione organo funzionale che potesse costituire potenziale elemento di rischio di morte improvvisa.
E nemmeno quanto riferito dalle persone che erano presenti alla morte e che ne seguirono le fasi immediatamente precedenti, si accorda con una ipotesi di morte cardiaca improvvisa. Si sa infatti che il Capitano De Grazia, subito dopo aver mangiato e messosi in macchina ha cominciato a dormire e quindi a russare in modo strano; ad un certo punto reclina la testa sulla spalla e per questo viene scosso dall'occupante il sedile posteriore dell'autovettura; a questa sollecitazione egli reagisce sollevando il capo ma non svegliandosi e senza dire alcunchè se non emettendo un suono indefinito; quindi poco dopo reclina definitivamente la testa e non risponde più alle sollecitazioni. 
Bene, mi risulta difficile avvalorare l'ipotesi di una morte cardiaca da ischemia miocardica su base aterosclerotica senza manifestazioni anginose, senza dolore che si sarebbe dovuto manifestare specie in quel momento in cui il Capitano De Grazia è stato scosso ed ha avuto in momento di reazione seppure, come è stato riferito, in una specie di dormiveglia. Piuttosto, se si volesse proporre una ipotesi di causa di morte diversa da quella sopradetta, sembrerebbe più trattarsi di morte cardiaca secondaria a insufficienza respiratoria da depressione del sistema nervoso centrale, come suggestivamente depone il quadro di edema polmonare così massivo, incompatibile quasi con un arresto cardiaco improvviso del tutto asintomatico; come suggestivamente depongono le manifestazioni sintomatologiche riferite da chi ha potuto osservare il sonno precoce, il russare rumoroso, quasi un brontolo, la risposta allo stimolo come in dormiveglia, il vomito; tutte manifestazioni queste che, anche se non patognomoniche, ben si accordano con una progressiva depressione delle funzioni del sistema nervoso centrale.
Quest'ultima, in carenza di incidenti cerebrovascolari, esclusi dall'autopsia, può riconoscere solo la causa tossica. Quale essa potrà essere stata, e se c'è stata, non lo si potrà più accertare. 
Purtroppo è stata irreversibilmente dispersa la possibilità di indagare seriamente sul versante tossicologico, da una parte per superficialità e forse inesperienza di chi aveva posto i quesiti con scarsa puntualità e poco finalizzati; dall'altra per l'insipienza della indagine medico legale che ha ritenuto trovarsi di fronte ad una banale morte naturale ed inopinatamente si è subito indirizzata, trascurando l'indagine globale, alla esclusiva ricerca di droghe di abuso in un caso nel quale, se c'era una ipotesi se non da scartare subito almeno da considerare per ultima, era proprio quella di una morte per abuso di sostanze stupefacenti; e pervicacemente ha insistito sulla stessa linea anche nella seconda indagine necroscopica.
Oramai l'indagine tossicologica non è più ripetibile, neppure, come sopra accennato, con l'esumazione del cadavere, e quindi il caso, dal punto di vista medico legale deve essere, ad avviso del sottoscritto, considerato chiuso.
Signor Presidente, rassegno, in scienza e coscienza, le sopraesposte conclusioni della indagine che mi è stata affidata dalla Onorevole Commissione che Lei presiede e Le porgo miei più cordiali saluti.
Roma 10 Dicembre 2012

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