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Usa – Obama: “Non devo chiedere scusa”

Ho appreso tutto dalla stampa»: Barack Obama non aveva ancora finito di replicare all'ennesima domanda sullo scandalo che ha travolto l'IRS, l'agenzia delle entrate americana, quando sul Rose Garden della Casa Bianca si è improvvisamente abbattuto un acquazzone. Era in corso la conferenza stampa congiunta col premier turco Erdogan. E l'immagine del presidente Usa subito riparato da un grande ombrello tenuto da un marine in alta uniforme appare emblematica delle difficoltà del momento. Con tanti a destra tentati dal giocare la carta dell'impeachment, la carta della spallata finale. Ma al momento sui tre fronti aperti – dallo scandalo dei controlli fiscali eccessivi su gruppi conservatori, a quello delle telefonate spiate dei reporter dell'Ap, al caso Bengasi – non sembrano esserci le condizioni per un azzardo del genere. Anzi, dopo giorni di scossoni alla sua leadership, Obama tira fuori le unghie e si presenta ai giornalisti forte delle decisioni prese e annunciate nelle ultime ore: via il numero uno del fisco, subito rimpiazzato oggi da uno dei suoi più stretti collaboratori alla Casa Bianca, Daniel Werfel; sì alla diffusione di tutte le e-mail tra intelligence e amministrazione scambiate all'indomani dell'attacco al consolato Usa in Libia; via libera alla presentazione di una legge a difesa delle fonti giornalistiche. La Casa Bianca, insomma, non ha alcuna intenzione di farsi mettere all'angolo e sembra in grado di ribattere colpo su colpo alle accuse che le vengono mosse. «Sembra che le condizioni meteo non collaborino», scherza il presidente, cercando davanti ai giornalisti di stemperare le tensioni. Ma il suo messaggio appare forte e chiaro: «Non devo chiedere scusa a nessuno», afferma su quello che è stato ribattezzato 'APgatè. «C'è un problema di equilibrio tra libertà di informazione e sicurezza nazionale», spiega. È pronto a ripresentare in Senato la vecchia proposta di legge dei democratici (risale al 2009) che prevede una protezione federale ai giornalisti che rifiutano rivelare le proprie fonti confidenziali. «Ma fughe di notizie che riguardano la sicurezza – chiarisce – mettono le persone a rischio». È la linea portata avanti dal ministro della Giustizia Eric Holder interpellato dal Congresso. Ministro di cui i repubblicani chiedono le dimissioni, ma a cui Obama ha rinnovato la sua piena fiducia. Una partita tesissima quella con il Grand Old Party, con una posta in palio altissima per il presidente Usa: riuscire o meno ad attuare la sua ambiziosa agenda, quella per cui è stato rieletto, dalla riforma dell'immigrazione alle misure per rilanciare definitivamente l'economia, passando per la stretta sulle armi da fuoco. Ma ad ostacolare questo programma ci sono le elezioni di metà mandato del 2014, con le quali i repubblicani sperano di riconquistare il controllo della Camera, attualmente a maggioranza democratica, mantenendo quello sul Senato. Dunque, poco interesse a collaborare col presidente, che anzi in tanti vorrebbero cogliere con le mani nel sacco. Tra coloro che chiedono l'impeachment Michelle Bachmann, l'ex eroina dei Tea Party, quelli che alcuni ispettori del fisco troppo zelanti avrebbero più volte controllato durante la campagna elettorale del 2012. «Dovrebbe fare la fine di Nixon», ha detto, ricordando lo scandalo Watergate. Ma c'è chi ricorda la 'lezione Clinton', quando i repubblicani puntarono tutto sull'affaire Lewinski per vincere le elezioni di midterm. E finirono per subire una cocente sconfitta.

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