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Vesuvio e Campi Flegrei – Gli scienziati avvertono

Da diverso tempo vulcanologi e tecnici mettono in evidenza i rischi della zona eruttiva del Vesuvio, ma a quanto pare i numerosi appelli al momento sono rimasti totalmente inascoltati e anzi, non pochi puntano il dito contro il governo, che sarebbe colpevole di omertà, non informando come sarebbe opportuno, i cittadini del territorio in questione.
Le strumentazioni tecnologiche poste sulle pendici del Vesuvio e quelli ad alta rilevazione nei laboratori sperimentali, registrano terremoti superficiali il cui epicentro è localizzato lungo i canali delle fumarole e nel cono del cratere. Gli esperti affermano che tali segnali sono chiari avvisi si una ripresa dell’attività eruttiva, con pericolo di improvviso rilascio dell’energia accumulata in anni e anni di inattività manifesta.
Non è un segreto che il Vesuvio sia fra i vulcani che, al mondo, è considerato a rischio maggiore, dal momento che le eruzioni passate sono state sia di tipo effusivo, con colate laviche, che esplosivo, molto più pericolose. E non è un caso che ultimamente la NATO abbia evacuato tutte le installazioni che si trovano nella probabile area a rischio. Questo però, ufficialmente non è mai avvenuto, visto che le procedure relative al trasferimento di uomini e attrezzature sono state eseguite con la copertura del “Segreto Militare”.
Di fatto, per i comuni mortali, la Regione Campania dovrà ufficialmente fornire entro e non oltre il 31 marzo 2013, un rapporto secondo il quale deve essere nuovamente ridefinita la cosiddetta “Zona Rossa”, con relativo numero dei cittadini in essa compresi per i quali devono essere messe a punto procedure di evacuazione. Stesso discorso per quanto riguarda la caldera dei Campi Flegrei, come ha sottolineato lo stesso responsabile della Protezione Civile, Franco Gabrielli: “Un censimento preciso permetterebbe di elaborare ancora meglio le procedure di evacuazione che nel caso del Vesuvio, al momento, riguarderebbero 800mila persone e nel caso dei Campi Flegrei altre 400mila. Un’eventuale evacuazione anche via mare? Sino ad oggi si è pensato solo al trasporto su strada, ma è un’ipotesi che non mi sento di escludere in partenza. Certo, sarebbe un evento di proporzioni importanti, che proporrebbe una serie di problemi almeno in parte gestibili solo sul campo, nell’immediato, e che dal punto di vista dei costi richiederebbe un fondo molto cospicuo e, quasi inevitabilmente, un contributo dell’Unione europea”.
Una procedura a tal punto d’emergenza che l’ultimo aggiornamento sul sito della stessa Protezione Civile risale al 2006 e si parla di una prima fase con probabile contaminazione delle risorse idriche e del coinvolgimento di almeno 96 Comuni delle province di Napoli, Avellino, Benevento e Salerno per un totale di circa 1.100 chilometri quadrati e più di 1.100.000 abitanti. Nella seconda fase la colonna eruttiva collassa producendo colate piroclastiche con enorme potere distruttivo. I modelli fisico-numerici indicano che il magma dovrebbe impiegare un massimo di 10 minuti per raggiungere la costa. Il territorio esposto a questo rischio è definito “Zona Rossa” e comprende 18 Comuni per 200 chilometri quadrati di estensione e circa 600.000 abitanti. La terza fase dovrebbe essere caratterizzata da colate di fango, che potrebbe coinvolgere altri 14 Comuni della provincia di Napoli per un totale di 180.000 abitanti (“Zona Blu”).
Tutto questo è però subordinato alla capacità di poter interpretare i segnali del vulcano e, di conseguenza, essere in grado di prevedere il peggio, ma anche in questo caso sarebbe difficile attuare un piano di evacuazione per un territorio densamente popolato come quello alle falde del Vesuvio.
Per quanto riguarda l’area dei Campi Flegrei, anch’essa ad alta densità di popolazione, sono in fase di realizzazione delle sperimentazioni di cui la popolazione non è a conoscenza e gli scienziati hanno evidenziato l’alto rischio di eruzione esplosiva con la camera magmatica posta ad una profondità di circa 7 chilometri. Tre sono i fattori che sono comunemente adottati come indici di misurazione di rischio: pericolosità vulcanica, valore esposto e vulnerabilità. A tutto questo non corrisponde una adatta campagna di sensibilizzazione da parte delle istituzioni.

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