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La torre d’avorio (voto 8)

Il tedesco Wilhelm Furtwängler (1886 – 1954) è stato uno dei più importanti compositori e direttori d’orchestra del ventesimo secolo. E’ considerato, in particolare, come il maggiore interprete dalla musica di Ludwig van Beethoven (1770 – 1827). Durante la seconda guerra mondiale rifiutò di emigrare dalla Germania (gli era stata offerta la direzione della New York Philharmonic Orchestra). Molto stimato da Adolf Hitler (1889 – 1945), coccolato dal ministro della cultura Joseph Göbbels (1897 – 1945) che lo fece inserire nell’elenco degli artisti fondamentali per la cultura tedesca, mantenne un rapporto ambiguo con il nazismo, rifiutandosi sempre di fare il saluto a braccio teso, ma accettando di dirigere un concerto per il cinquantesimo compleanno del dittatore. Alla fine del conflitto fu estradato dalla Svizzera, ove si era rifugiato nel gennaio del 1945, e sottoposto a un’inchiesta da parte degli alleati. Fu una serie d’interrogatori tendenti ad accertare la sua complicità con il regime. Il procedimento non approdò a nulla di certo e il musicista fu assolto. Da questi materiali il drammaturgo inglese, d’origine sudafricana, Ronald Harwood (1934) ha tratto nel 1995 un dramma, Taking Sides (Schierarsi), da cui il regista ungherese István Szabó (1938) ha ricavato, nel 2001, un film uscito da noi con il titolo A torto o a ragione e interpretato da Harvey Keitel e Stellan Skarsgård. Un’opera particolarmente sentita, tenuto conto delle accuse che, in quegli anni, iniziavano a colpire in patria il cineasta in merito al suo comportamento durante il regime realsocialista. Il cuore del testo, infatti, ruota attorno all’azione dell’artista costretto a operare in un regime dittatoriale e avanza molte domande, la più importante può essere riassunta nel quesito se sia lecito, in nome dell’arte, non guardare a ciò che accade intorno a noi. Il testo non risponde a questa domanda, meglio lo fa in modo parziale. E’ la stessa strada seguita da Luca Zingaretti, regista e interprete con Massimo De Francovich, che propone questo copione con il titolo, non molto felice, di La torre d’avorio. I due danno vita al maggiore Steve Arnold, un ex investigatore assicurativo incolto e volgare, e al grande musicista. E’ un’opera che richiede grandi prestazioni attoriali e i due, Massimo De Francovich in particolare, non si risparmiano mettendo in campo, sullo sfondo di una scena abbastanza spoglia, le loro migliori doti. Ne nasce uno spettacolo avvincente che pone più domande di quante soluzioni offra e questo è un dato molto positivo, poiché la materia affrontata è di quelle che non ammettono risposte univoche e valide per sempre. In altre parole si esce dalla sala con più dubbi di certezze.

Umberto Rossi

(umberto@uerre.it)

 

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